A partire dal 2030, gli allevatori di bestiame dovranno affrontare una nuova imposta annuale di 672 corone per ogni mucca o maiale posseduto, equivalenti a circa 90 euro. Una decisione che è stata presa per compensare le significative emissioni di gas serra provenienti dal settore agricolo, contribuendo in modo determinante al riscaldamento globale.
La Danimarca, rinomata per la sua produzione di lattiero-caseari e carne suina, si confronta con il fatto che agricoltura e allevamenti, specialmente quelli intensivi, rappresentano la principale fonte di emissioni nel paese. Per affrontare questa sfida, il governo ha anche annunciato un investimento di 40 miliardi di corone (circa 3,5 miliardi di euro) in progetti di riforestazione, creazione di zone umide e altre iniziative volte a raggiungere gli obiettivi climatici nazionali.
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Tassa delle mucche: dubbie preoccupazioni
I proventi derivanti dalla nuova tassa sul bestiame saranno diretti verso la transizione verde del settore agricolo. Tuttavia, l’introduzione della tassa ha scatenato forti reazioni tra gli agricoltori, non solo in Danimarca ma in tutta Europa, dove le preoccupazioni riguardo alla regolamentazione ambientale e all’eccessiva burocrazia sono da tempo al centro del dibattito. Gli agricoltori danesi, rappresentati dall’associazione Bæredygtigt Landbrug, hanno definito l’accordo “un esperimento inquietante“, criticando il rischio di ostacolare gli investimenti verdi nel settore.
Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, il bestiame contribuisce per circa il 12% alle emissioni globali di gas serra, principalmente attraverso l’emissione di metano derivato dai processi digestivi delle mucche e dall’ammonizione del letame: Un processo naturale che consiste nella trasformazione dell’urea presente nel letame in ammoniaca (NH3) e altri composti correlati, attraverso l’azione di batteri nel terreno o nel letame stesso.
Pericolo rincaro prezzi e prodotti caseari
Questa iniziativa della Danimarca si colloca in un contesto più ampio di azioni globali volte a contrastare il cambiamento climatico, evidenziando come paesi industrializzati e produttori agricoli stiano progressivamente integrando politiche ambientali più rigorose. Se da un lato l’introduzione della tassa rappresenta un passo importante verso la sostenibilità ambientale, dall’altro solleva interrogativi e preoccupazioni per gli agricoltori che dovranno adattarsi a nuove normative e strategie per continuare a operare in un settore fondamentale ma anche molto impattante sull’ambiente globale.
D’altro canto, non è possibile non notare che politiche volte a una riduzione del numero di capi di bestiame all’interno di ciascun allevamento avranno a loro volta un impatto importante in un altro campo: l’economia mondiale. La tassazione su ciascun animale aumenterebbe infatti i costi per i singoli allevatori, che potrebbero ritrovarsi costretti a ridurre il numero di capi di bestiame presenti nei loro allevamenti.
Se tale tipo di soluzione dovesse andare oltre i confini danesi ed essere attuata a livello europeo, la tassazione rischierebbe di ridurre il quantitativo di carne sul mercato a fronte di una richiesta comunque stabile: è ormai chiaro a tutti che le alternative date da carne sintetica e insetti non sono risolutive del problema. Pertanto, il rischio è che si possa andare ad incorrere in un maggioramento del costo della carne, già piuttosto elevato, rendendolo un bene difficilmente accessibile da parte di famiglie in difficoltà economica o con un alto numero di membri.
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