La fortuna nella sfortuna: la storia di Umberto Mattei, uno degli IMI dimenticati

Gli Internati Militari Italiani sono stati riconosciuti come "Resistenza senza armi" solo nel 1977, ma ancora oggi la loro storia è sconosciuta e spesso nascosta. Massimo Mattei si è assunto il compito di raccontare la loro storia, ma soprattutto la storia di suo padre

Redazione
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Umberto Mattei ha 19 anni quando viene chiamato alle armi per la Seconda guerra mondiale e assegnato al quarto Genova Cavalleria V squadrone mitraglieri di Roma di istanza a Porta Pia nel 1943. Ha sempre 19 anni quando mette piede nel campo di lavoro di Bochum, come prigioniero dei tedeschi, costretto ai lavori forzati perché contrario a vendere le sue informazioni ai nazisti. Ha 19 anni quando arriva a pesare 43 chili, costretto ad assumere solo 1000 calorie di cibo stantio al giorno e quando è costretto a vedere i suoi compagni, i suoi amici, morire.

Umberto, nonostante la stanchezza e il timore di morire, resiste. Ogni volta che un tedesco gli si avvicina per chiedergliKollaboration?“, Umberto rispondeNein“. Un pasto caldo e un letto comodo non sono abbastanza per costringerlo a crollare e a vendere la sua Italia. Così il 19enne Umberto resiste a mesi di torture e riesce a sopravvivere. Umberto Mattei è uno dei 560 Internati Militari Italiani, o IMI, catturati dai tedeschi mentre tornavano in Italia e rinchiusi nei campi di lavoro in Vestfalia. Di loro torneranno a casa solo 125 uomini, i sopravvissuti, i più fortunati.

La storia di Umberto è raccontata da suo figlio, Massimo Mattei, che nel libro La fortuna nella sfortuna, racconta il viaggio da incubo di suo padre, giovane italiano catturato e torturato. Un libro crudo che racconta una realtà finora ignorata e dimenticata a cui l’autore vuole invece restituire la sua dignità.

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Umberto Mattei

Raccontare la storia di mio padre è sempre stata una cosa che ho avuto nell’angolo della mia mente, tanto che questo libro nasce dagli appunti che ho preso negli anni – spiega l’autore – Si tratta di una volontà che non è mai morta. Ci sono pochissime testimonianze, probabilmente per un tentativo di rimozione del dolore da parte di coloro che hanno vissuto queste esperienze. Ho avuto ora questa sensazione, di voler scrivere qualcosa su mio padre, anche per le situazioni che viviamo oggi. In un momento storico in cui le diseguaglianze invece di appianarsi si stanno acuendo, dove abbiamo problemi che ritornano in vecchi ruggiti degli anni ’70-’80, io ho preso la palla al balzo“.

La fortuna nella sfortuna, la storia di Umberto Mattei

La necessità di scrivere quest’opera nasce principalmente dalla voglia di raccontare una parte di storia che per ora è rimasta nascosta. La storia di soldati italiani dimenticati per decenni e solo con una legge del 1977 riconosciuti comeResistenza bianca o resistenza senza armi“. Eppure, ancora oggi, non vengono commemorati e continuano ad essere invisibili, nonostante i soprusi e le ingiustizie subite.

Dalla paga mai ottenuta per quei lavori nei campi, alle vessazioni e alle punizioni ingiuste e disumane. Chi è morto non ha mai potuto vedere riconosciuto il suo sacrificio ed è a oggi ricordato solo dalle generazioni figlie di chi quei campi li ha vissuti e ne è uscito vivo. Umberto ha ricordato il sacrificio di due soldati russi, che lo hanno protetto, dopo un furto di rape al campo di lavoro. I due soldati hanno deciso di resistere e, pur consapevoli della loro morte, hanno deciso di nasconderlo, di non dire il suo nome ai tedeschi.

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Busta paga degli altiforni

Umberto è sopravvissuto sia per fortuna che per capacità, eppure il ritorno alla vita non è stato semplice. Lo stigma della guerra combattuta lo ha perseguitato per tutta la vita, soprattutto sul posto di lavoro. Eppure Umberto non ha mai ceduto, non si è mai arreso, neppure quando ingiustamente lo chiamavano “il fascista“. Umberto sapeva per cosa aveva resistito ed era fiero di aver sempre resistito, sia durante la guerra che dopo.

La copertina de La fortuna nella sfortuna è incentrata sulla figura di uomo, legato ad un palo, nudo, al freddo al gelo. Quell’uomo è Umberto che, poco prima di svenire, nota che la sua urina prima di toccare il suolo si congela. Facevano meno 20° nel campo di Bochum e Umberto è stato punito così dai tedeschi per non aver confessato loro di aver partecipato alla spedizione per il furto delle rape.

Dopo la liberazione gli Internati Militari italiani sono stati messi da una parte, ignorati. Nessuno sapeva cosa fossero, tanto che mio padre ha dovuto lottare per riprendere il suo posto di lavoro, che era stato dato a un partigiano, che aveva combattuto per l’Italia – racconta l’autore – Ma allo stesso modo, mio padre ha sempre detto ‘no’ alla collaborazione con i nazisti, perché la dignità degli italiani era questa e mio padre non aveva assolutamente le stesse ideologie dei nazifascisti“.

Eppure oggi gli Imi non vengono ricordati e questo è un “dramma giornaliero“. La loro resistenza era data da un senso di patriottismo, dalla differenza di ideali tra loro e le guardie naziste.

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