Il “business dell’accoglienza” si sposta in Albania: Medihospes gestirà i centri per migranti

La cooperativa sociale, il cui presidente del Cda è Camillo Aceto, ha vinto la procedura negoziata grazie ad un'offerta al ribasso del 4,94%. Le accuse e le denunce per sovraffollamento e condizioni disumane nei centri già gestiti da Medihospes potrebbero però turbare più di qualche animo

Laura Laurenzi
7 Min di lettura

Medihospes nasce dall’incontro di persone impegnate quotidianamente nel compito di accogliere, assistere e curare persone in stato di fragilità sociale e sanitaria o in stato di emergenza sociale e umanitaria. Persone accomunate dalla consapevolezza che da sole possono fare poco e che il proprio lavoro acquista maggior valore quando si uniscono le forze, perché non si tratta solo di agire ma anche di prendersi carico dei bisogni diversi e talvolta complessi delle persone“.

Quando si naviga sulla Homepage del sito di Medihospes, cooperativa sociale il cui Cda è presieduto da Camillo Aceto, questo è ciò che si legge. Una coop che “mette al centro i bisogni delle persone” e a cui è stata affidata la gestione dei due centri italiani per l’accoglienza dei migranti in Albania.

Unire le forze per dare maggiore valore al proprio lavoro per Medihospes ha significato prendere in gestione dieci Centri di Accoglienza Straordinaria (Cas) sul territorio di Roma. Il 40% del totale. Una concentrazione che diventa pericolosa nei confronti dell’amministrazione pubblica, di cui viene minata la capacità di controllo. Senza citare, poi, l’altissimo numero di contestazioni ricevute: il 96,76% delle penali comminate nella città metropolitana di Roma nel 2019 sono a carico di Medihospes, come riporta il report Centri d’Italia di Action Aid e Openpolis, che sottolinea poi come non sia stato possibile conoscere “realmente” i dettagli di tali contestazioni.

Si tratterebbe comunque di problematiche legate al settore logico amministrativo, alla fornitura di beni e di servizi alla persona, e ad “altro“, di cui non è dato sapere la natura. Lo scorso 7 maggio Medihospes si è aggiudicata il bando milionario relativo ai due centri di accoglienza per migranti in Albania: un hotspot a Shengjin e un centro per richiedenti asilo di Gjader, con annesso centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Sono 133.789.967 i milioni che l’associazione di Camillo Aceto riceverà per gestire le due strutture, in cui Medihospes dovrà occuparsi delle esigenze di vitto, alloggio e dei servizi basici dei migranti che verranno portati in Albania.

Una vittoria che sembra non aver preso minimamente in considerazione le accuse nei confronti dei centri già gestiti dall’associazione, finiti spesso sulle prime pagine dei giornali a causa delle condizioni di vita quasi disumane a cui sarebbero stati sottoposti i migranti giunti in Italia, e non solo. Il business dell’accoglienza“, perché da sempre è questo di cui si parla, ora ha raggiunto anche l’Albania, lontano dai riflettori e soprattutto dalle coscienze degli italiani.

L’investimento milionario dei centri in Albania

Secondo le stime degli uffici tecnici dei ministero degli Esteri e dell’Interno, l’apertura dei due centri per migranti in Albania costerà all’Italia circa 300 milioni in cinque anni. Una cifra da capogiro, soprattutto se si tiene in considerazione che i 10 Cpr sul suolo italiano sono costati in quattro anni solo 52 milioni di euro. Tali cifre, inoltre, continuano ad aumentare a causa dell’incertezza relativa ai tempi di apertura dei centri. Il “business dell’accoglienza” però non ha budget, soprattutto se questo significa far sbarcare meno migranti nel Bel Paese.

Lo sa bene la Medihospes presieduta da Camillo Aceto, che è riuscita ad aggiudicarsi la gestione dei due centri italiani in Albania grazie ad un’offerta al ribasso. L’assegnazione non è stata effettuata tramite una gara pubblica, ma attraverso una procedura negoziata. Tra 31 istanze di enti privati interessati a partecipare, la prefettura ha scelto tre “finalisti“: Medihospes, Hera e Officine sociali. Il valore dell’appalto ammontava a 151, 5 milioni di euro per 4 anni e, con un ribasso del 4,94%, Medihospes è riuscito ad aggiudicarselo.

Solo con economie di scala e sacrificando i servizi, solo soggetti come Medihospes possono riuscire a realizzare un ribasso consistente e rendersi disponibili a gestire centri come quelli in Albania, dove i diritti delle persone accolte non sono al centro“, le parole di Fabrizio Coresi di Action Aid a Repubblica sembrerebbero riassumere perfettamente la situazione.

Il “business dell’accoglienza

A questo punto non rimane che scoprire le storie di Medihospes e di Camillo Aceto, che poi sono perfettamente intrecciate. La cooperativa sociale, come già chiarito in precedenza, gode di una leadership senza paragoni nel settore dell’accoglienza dei migranti: 3.800 posti letto in 26 strutture in tutta Italia, che rappresentano il 63% del totale.

Prima di prendere il nome Medihospes, questa era conosciuta come Senis Hospes, cooperativa strettamente legata al Gruppo La Cascina, che nel 2015 si è ritrovato al centro dell’inchiesta Mafia Capitale. I quattro dirigenti – Francesco Ferrara, Domenico Cammisa, Salvatore Menolascina, Carmelo Parabita – sono stati accusati di aver corrotto Luca Odevaine, ex componente del tavolo di coordinamento per i rifugiati del Viminale, per ottenere l’appalto per la gestione del centro Cara di Mineo.

Nell’inchiesta non viene però inserito l’ormai ex amministratore delegato del Gruppo La Cascina, Camillo Aceto. Le due aziende, ad ora, risultano ancora partner. Aceto, continua a gestire Medihospes, accumulando contestazioni per condizioni sovrumane, sovraffollamento e gestione oscura dei finanziamenti. Ai Comuni italiani, però, questo non sembra interessare. Medihospes continua a crescere, soprattutto grazie ai bandi indetti dalle amministrazioni comunali. Lo stesso identico procedimento sembra essersi verificato con i due centri di accoglienza in Albania.

Quando potere e denaro si uniscono a condizioni di subalternità e inferiorità si crea una sorta di ricetta perfetta. Squilibri, soprusi e violazioni dei diritti dimenticati dalla giustizia e ignorati dall’opinione pubblica. Nel frattempo, in Albania, la costruzione dell’hotspot e del Cpr proseguono, ma quello che importa è che l'”invasione” di migranti in Italia si fermi, costi quel che costi.

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