Superbonus, Giorgetti con lo “spalma crediti” il deficit migliorerà dello 0,1%

Redazione
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A soli due giorni dall’annuncio del ministro del Mef Giancarlo Giorgetti dell’obbligatorietà della dilazione dei crediti del Superbonus su dieci anni, invece di quattro, il mondo delle imprese è insorto. A far storcere il naso agli imprenditori è la retroattività della misura. Il cosiddetto “spalma crediti“, infatti, si applicherà a tutte le spese sostenute a partire dal primo gennaio 2024.

Quindi, in che modo si garantisce la stabilità del mercato per tutti i creditori che non hanno ancora concluso le opere di miglioramento edilizio prima della messa in atto della norma? Questa è la domanda che si è posto Maurizio Marchesini, vicepresidente dell’associazione degli industriali, che ha poi duramente attaccato il ministero dell’Economia: “Migliaia di imprese e cittadini devono poter vivere in uno Stato in cui la certezza del diritto consenta ragionate scelte d’investimento pluriennali, non modificabili da interventi retroattivi“.

Ciò che chiedono le imprese, quindi, è che l’emendamento venga modificato in modo da tutelare tutti coloro che hanno usufruito del Superbonus prima del 29 marzo 2024, giorno in cui la riforma entrerebbe in vigore. In questo modo, lo “spalma crediti” non sarebbe più retroattivo. Le cifre in ballo, però, sarebbero cruciali per l’economia italiana e rimane da capire se Giorgietti deciderà di cedere a queste richieste.

Giorgetti, con lo “spalma crediti” una correzione del deficit di 2,4 miliardi

L’emendamento che il governo intende presentare è finalizzato ad allineare il deficit indicato nel Def 2024 con quello programmatico della Nadef 2023” ha spiegato il ministro Giancarlo Giorgetti, dimostrando come grazie a questa dilazione dei crediti, l’indebitamento tendenziale migliorerebbe dello 0,1%, permettendo alle percentuali di scendere al 3,6% nel 2025 e al 2,9% nel 2026. Il deficit, quindi, sarà corretto per 2,4 miliardi in due anni.

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Maurizio Marchesini, vicepresidente Confindustria

Con questo margine di miglioramento, l’esecutivo potrà rivendicare maggiori sostegni da parte di Bruxelles. Una necessità che le imprese comprendono, ma che non sono disposte a porre prima delle loro necessità, come ha sottolineato Marchesini: “Comprendiamo le difficoltà del governo per impedire che la coda dei crediti da Superbonus metta a rischio il deficit del 2024, tuttavia in nome della certezza del diritto non ne condividiamo l’eventuale retroattività“.

Quest’ultimo punto, non convince assolutamente le imprese e le associazioni dei consumatori. La retroattività dell’emendamento, infatti, aiuterebbe solo le banche, che potrebbero aumentare i tassi di interesse nei dieci anni necessari per esaurire il debito da parte dello Stato. Il vicepresidente della giunta nazionale Ungdcec, Leonardo Nesa, ha infatti sottolineato che “obbligare a simile dilazione nello sfruttamento dei vantaggi fiscali rappresenta un affronto verso soggetti che si aspettavano di rientrare di tali investimenti in un periodo ben più ristretto, incorrendo in primo luogo in un pregiudizio di carattere finanziario per chi si trova oggi con orizzonti di riassorbimento maggiori rispetto a quelli che aveva pianificato“.

La critica dell’Ance: “Così non si può fare affidamento sulla legge

Molto critica sulla decisioni del Mef anche Federica Brancaccio, presidente dell’Ance, che a Repubblica ha dichiarato: Con un cambio di regole in corsa, a contratti chiusi, si passa dal compensare, quindi incassare, in quattro anni a dieci. Questo significa non poter fare affidamento sulla legge“.

Ciò che Brancaccio ha spiegato in poche parole riguarda la situazione ben diversificata delle banche e delle imprese interessate dalla dilazione dei crediti del Superbonus edilizio. Ci sono ancora numerose aziende che hanno incarico lavori avviati nel 2022 e nel 2023 e non ancora conclusi. Anche in questi casi, le fatture del 2024 rientreranno nello spalma crediti“, così lo Stato pagherà in dieci anni e le imprese avranno problemi con le banche a cui hanno ceduto il credito.

Gli istituti bancari, infatti, potrebbero decidere si far pagare il credito con maggiorazioni oppure potrebbero addirittura scegliere di porre fine ai contratti di acquisto che sono stati firmati nell’ottica di una dilazione del credito in quattro anni e non in dieci. In questo modo, quindi, secondo Confindustria, manche secondo le cooperative, gli artigiani e i commercialisti, il ministero avrebbe usato due approcci diversi per banche e imprese, favorendo le prime e affossando le seconde.

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