Il Codacons, noto organismo di tutela dei consumatori, ha recentemente presentato un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio per contestare la normativa vigente riguardante il trattamento dell’acqua potabile. Al centro del dibattito il decreto 25 del 7 febbraio 2012 del Ministero della Salute, che regola gli apparecchi destinati al trattamento delle acque destinate al consumo umano.
Secondo il Codacons, il decreto non garantirebbe controlli adeguati da parte delle autorità sanitarie sugli apparecchi di filtraggio e trattamento dell’acqua, che sono diventati sempre più diffusi sia nelle abitazioni private che in locali pubblici come i ristoranti. Questi dispositivi, spiega l’associazione, “non hanno lo scopo di rendere potabile un’acqua non sicura, ma piuttosto di modificare le caratteristiche organolettiche di quella già potabile.“
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Acqua: filtrata non significa potabile
Il problema sottolineato dal ricorso riguarda non solo la conformità dei dispositivi, che viene lasciata alla responsabilità dei produttori e distributori, ma anche l’efficacia delle tecnologie impiegate, che possono andare ad alterare la composizione chimica dell’acqua, in un processo che potrebbe renderla anche meno adatta ad essere consumata. Il filtraggio in questione infatti, non rende potabile acqua contaminata, ma, a seconda del processo che viene utilizzato, può andare ad alterarne la composizione chimica, rendendola talvolta anche dannosa per la salute.
Processi come la filtrazione a scambio ionico possono infatti filtrare l’acqua, aumentando però la quantità di sodio presente al suo interno, cosa che la renderebbe particolarmente dannosa per persone che soffrono di particolari patologie, o banalmente di pressione alta. Il metodo dell’osmosi invertita, permette invece di “ripulire” l’acqua, ma al tempo stesso, la demineralizza, ovvero elimina una serie di sostanze minerali estremamente importante, come calcio, potassio e magnesio.
Codacons: mancano le informazioni sulla composizione chimica
Un altro punto critico sollevato dall’associazione è la mancanza di informazioni chiare e complete sulle modifiche apportate all’acqua e sui possibili effetti sulla salute. Per legge, le acque in bottiglia vendute al pubblico devono presentare chiaramente la composizione chimica sull’etichetta, in modo da consentire al consumatore di scegliere quella più adatta alla sua condizione di salute. Secondo il Codacons, l’assenza di queste informazioni può portare a una confusione tra i consumatori, che potrebbero erroneamente ritenere l’acqua trattata con questi dispositivi più “pura”, e di conseguenza più salutare di quella minerale naturale.
Per tutte queste ragioni, il Codacons ha chiesto al TAR del Lazio di annullare il decreto ministeriale, invocando una maggiore trasparenza e controlli più stringenti sui dispositivi di trattamento dell’acqua. La questione è ora nelle mani del tribunale, che dovrà valutare se le norme attuali offrono garanzie sufficienti per la salute e la sicurezza dei consumatori italiani.
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