Sono otto i giorni e otto le notti che Celestino Leonetti, cittadino e membro del comitato di Casal Selce, non tocca cibo e dorme nel piccolo presidio artigianale situato lungo la via di Casal Selce. La “casetta” è posizionata proprio davanti all’ingresso dove prossimamente potrebbe sorgere uno dei biodigestori tanto voluti dal primo cittadino di Roma Roberto Gualtieri.
Il progetto dell’enorme impianto in grado di trattare circa 120 tonnellate di rifiuti l’anno, contenuto nel piano dei rifiuti per la Capitale, dovrebbe sorgere proprio lì e occupare una superficie di 12 ettari. Un dejavù, o meglio dire, un incubo ricorrente che sembra voler condannare ancora e ancora i residenti della zona di Malagrotta a tempo indeterminato. La preoccupazione è tanta e lo sciopero della fame di Celestino è solo l’apice e una delle molte azioni intraprese dai comitati di zona per scongiurare la costruzione del biodigestore a Casal Selce.
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Biodigestore Casal Selce, Celestino Leonetti: “Sono otto giorni che non mangio. Io resto qui”
Sono ormai ben due anni che i comitati intraprendono azioni legali, manifestazioni e ricorsi al Tar, il cui responso si avrà il 5 giugno. Ognuno fa il suo, ognuno fa quel che può per protestare e impedire che la storia su quel territorio possa ripetersi. Nonostante tutte le sconfitte e i no ricevuti fino ad oggi, niente è riuscito a spezzare lo spirito di Celestino che continua imperterrito il suo sciopero della fame: “Sono otto giorni che protesto non toccando cibo. Non è sempre facile ma qui al presidio c’è un bel via vai, tanta solidarietà. Io resto qui, lotto insieme ai comitati e non smetterò di farlo” ha iniziato a spiegare seduto sulla brandina allestita da lui stesso all’interno del presidio per passare lì notte e giorno.
Accanto a lui una stufetta che utilizza per scaldarsi quando scende il sole e cala il buio sul piccolo presidio “fai-da-te”. “Lo sapete che ci avevano detto? – ha continuato a spiegare dopo aver acceso la stufetta – che la Valle Galeria non l’avrebbero più toccata e invece è sempre qui che vengono quando devono costruire qualcosa per smaltire i rifiuti. Mi ricordo ancora cosa è successo alla Vigilia di Natale di quest’anno, quando il TMB ha preso fuoco, ero lì sul posto e mi sono messo a piangere. Ho passato una vita qui e ancora devo assistere ai miei cari che muoiono per colpa di Malagrotta e a nessuno frega nulla. Non smetterò di lottare finché la politica e i pezzi grossi non prenderanno una decisione nei nostri confronti” ha concluso Celestino.
Stefania Corna, vicepresidente del comitato di Casal Selce: “Perché qui?”
Poco dopo che ha smesso di parlare la porticina del presidio si è aperta e sono arrivate un paio di persone per fargli un po’ di compagnia, Stefania Corna, vicepresidente del comitato di Casal Selce e il suo amico Massimo Fiorentini, che cerca di venire tutti i giorni al presidio nonostante la sua condizione di malato oncologico.
“Sono qui oggi per dare supporto a Celestino, a Massimo e a tutti quelli che sono qui a protestare e a fare presidio” ha iniziato a spiegare Stefania Corna. “La domanda che ci facciamo tutti, senza ottenere nessuna risposta degna di essere chiamata tale è “Perché qui”? Perché a Casal Selce? Siamo preoccupati per quanto riguarda il TMB funzionante e non solo, anche per gli impianti adibiti per la plastica e per la carta. Se dovessero prendere prendere fuoco? Si registrerebbe un ennesimo disastro per la salute dei cittadini della zona”.
I cittadini, compresa la vicepresidente del comitato di Casal Selce, non riescono a spiegarsi perché, anche se la zona di Casal Selce è un’area agricola, debba continuare a servire Roma per smaltire i suoi rifiuti. “È una zona che ha già pagato molto in termini di vite umane e di salute dei cittadini e non lo diciamo noi ma lo dicono i rapporti della Regione Lazio. Sul rapporto Eras 2023 – continua a spiegare la vicepresidente del comitato di Casal Selce – l’incidenza di tumori è decisamente maggiore rispetto ad altre zone: si parla del 38% rispetto oltre la media nel Lazio”.
“Noi rifiutiamo che i nostri figli, i nostri nipoti debbano subire nuovamente queste cose anche perché l’esperienza ci dimostra che non esiste un impianto sicuro e quindi le rassicurazioni che ci possono dare l’assessore Alfonsi e il presidente ama non ci soddisfano. Abbiamo visto anche recentemente che nello Yorkshire ha preso fuoco ed è scoppiato proprio un biodigestore a causa di un fulmine. Avendo le prime case a 250 metri stando al progetto non ci sembra proprio il caso di costruire qui” ha concluso.
Fiorentini: “Non possiamo prenderci noi la mondezza di tutta Roma”
Dopo la vicepresidente, infine, è intervenuto per raccontare la sua storia anche Massimo Fiorentini: “Io sono malato di cancro e sono cinquant’anni che vivo a Massimina e che conosco e abito in queste zone. L’inquinamento è constatato e con lui anche le cause di morte dei residenti della zona. Tutti i giorni sentiamo la chiesa che suona le campane perché ci sono sempre morti. È una cosa che non si può credere. Per crederci uno deve vivere in questa zona e per capire come si sta”.
“Non posso sentire l’assessore Alfonsi che mi dice che questo terreno è ormai compromesso. Ma quand’è che abbiamo firmato un foglio che attesta che noi dobbiamo morire per gli altri? Come gli altri abitanti di Roma paghiamo le tasse, paghiamo tutto. Una soluzione democratica poteva essere quella di costruire dei biodigestori più piccoli in ogni circoscrizione. Non possiamo prenderci noi la mondezza di tutta Roma – ha concluso commosso Massimo – non possiamo continuare a morire senza che nessuno faccia o sappia niente di come stiamo, di come viviamo ma, soprattutto, di come moriamo”.
Foto di Giuseppe Ferretti de Luca
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