Ilaria Alpi, 30 anni dalla morte della giornalista uccisa in Somalia

Da 30 anni si cerca di capire cosa sia realmente successo il 20 marzo 1994 a Ilaria Alpi e al suo cameraman brutalmente uccisi in Somalia

Redazione
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Sono passati 30 anni dalla morte di Ilaria Alpi, giornalista del TG3 e il cameraman Miran Hrovatin in un agguato in Somalia. Tre decenni in cui si sono susseguiti processi, archiviazioni, tentativi di depistaggio, senza mai far luce sul caso.

Ilaria Alpi: l’omicidio

Ilaria Alpi e il suo cameraman erano in Somalia per seguire la missione “Restore Hope” che al tempo impegnava molti dei militari italiani nel Paese. Il 20 marzo 1994, poco dopo le 14.30, la Toyota con a bordo la reporter e Hrovatin stava attraversando Mogadiscio per dirigersi verso l’hotel Amana dopo aver incontrato il sultano del Bosaso, il quale gli aveva riferito delle importanti attività connesse a dei traffici illeciti di armi e rifiuti.

A poca distanza dall’albergo, una Land Rover si ferma e ne escono fuori diverse persone armate – almeno 7 – che hanno aperto il fuoco su Alpi e Hrovatin. Purtroppo per i due non c’è stato scampo e sono morti sul colpo.

Ilaria Alpi: l’inchiesta a Roma

Appresa la terribile notizia è stata avviata a Roma un’inchiesta e l’esame medico esterno sul corpo di Ilaria Alpi. La donna è stata colpita a bruciapelo alla nuca. Il fascicolo è stato poi affidato al sostituto procuratore Giuseppe Pititto che verifica che sul cadavere è stato eseguito solo un esame esterno e non un’autopsia.

Dopo qualche mese, il padre della reporter comunica che prima della sua morte Ilaria ha parlato con il sultano, annotando tutto su un taccuino poi scomparso nell’agguato. Il 9 aprile 1996 il sultano, Abdullahi Mussa Bogar, viene iscritto nel registro degli indagati come mandante. Subito dopo la posizione del sultano è stata archiviata. La perizia balistica del 1996 attesta che il colpo che ha ucciso Ilaria Alpi è stato sparato a distanza, probabilmente con un Kalashnikov.

Hassan condannato per l’omicidio

Nel 1998 il somalo Hashi Omar Hassan si reca a Roma per testimoniare alla commissione sulle presunte violenze dei soldati italiani in Somalia per poi essere arrestato per concorso in duplice omicidio volontario e indicato come componente del commando. Ad incastrare Hassan è stato il pm Franco Ionta, ma la sua incarcerazione termina dopo un anno e mezzo con la sua assoluzione.

Il 24 novembre 2000 la corte d’Assise d’Appello ribalta la sentenza di primo grado e condanna Hassan all’ergastolo. Dopo un anno la Cassazione annulla la sentenza d’appello all’aggravante della premeditazione e alla mancata concessione delle attenuanti generiche e rinvia il procedimento a un’altra sezione della corte. Il 26 giugno 2002, la pena per Hassan si riduce a 26 anni.

La Commissione d’inchiesta Alpi-Hrovatin

Il 31 luglio 2003 è stata istituita la Commissione parlamentare d’inchiesta Alpi-Hrovatin con l’avvocato Carlo Taormina presidente. La Commissione resta in piedi fino al 2006, quando, senza una soluzione unanime, lo stesso Taormina porta avanti una tesi che fa indignare i genitori della vittima. Secondo l’avvocato, Ilaria Alpi era in Somalia non per lavorare ma per fare una vacanza e che le voci di un’esecuzione fossero state messe in circolazione. Il presidente della Commissione dichiara di essere in possesso di documenti segreti che provano la sua parola.

Un’altra ipotesi fatta da alcuni componenti della Commissione è che Alpi abbia scoperto un traffico di armi e di rifiuti tossici illegali nel quale erano coinvolti anche l’esercito e altre istituzioni italiane.

Ilaria Alpi: archiviazioni dell’inchiesta

Il primo caso di archiviazione arriva nel 2007 dalla procura di Roma poiché il procuratore sostiene che, oltre a quella di Hassan, è impossibile accertare con precisione altre responsabilità. Nel 2010 il gip Cersosimo boccia poi la richiesta di archiviazione ritenendo che l’omicidio sia stato commissionato per evitare che Alpi e Hrovatin riportassero in Italia quanto scoperto in Somalia.

Nel 2013 per iniziativa di Laura Boldrini la presidenza della Camera avvia la desecretazione degli atti delle Commissioni d’inchiesta sui rifiuti e sul caso. Da questo momento inizia un procedimento per Ali Ahnmed detto “Jelle”: l’accusatore di Hassan deve rispondere di calunnia al fine di sviare le indagini. Nel 2015 l’uomo era in fuga all’estero e afferma: “Hassan è innocente, io neanche c’ero. Mi hanno chiesto di indicare un uomo”. Nel 2016 la Corte d’Appello di Perugia assolve il somalo Hassan che nel frattempo aveva scontato 17 dei 26 anni di condanna.

Nel 2017, la Procura di Roma inoltra nuovamente una richiesta di archiviazione e nel 2018, durante l’udienza per la richiesta d’archiviazione, la pm Maria Rosaria Guglielmi deposita delle intercettazioni del 2012. Si tratta di conversazioni tra persone somale residenti in Italia che affermano che la giornalista sia stata uccisa “dagli italiani”.

L’8 giugno del 2018 ecco che arriva una nuova richiesta di archiviazione da parte della pm poiché le intercettazioni sono ritenute irrilevanti. La richiesta è respinta con la disposizione di altri 180 giorni per ulteriori indagini. Gli avvocati della famiglia Alpi si oppongono a tale operazione insieme al FNSI, Odg e Usigrai.

La morte di Hassan

Nel 2022 Hashi Omar Hassan è morto dopo che una bomba posta sotto il sedile della sua auto a Mogadiscio è esplosa. Secondo il suo avvocato i responsabili sarebbero stati dei terroristi islamici “a scopo di estorsione per i soldi che aveva ottenuto per l’ingiusta detenzione in Italia”.

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