L’allarme della Crusca: l’italiano sta scomparendo dalle Università italiane

Secondo l'Accademia della Crusca l'italiano sta scomparendo dalle Università italiane, favorendo quindi il monolinguismo inglese nella nostra Nazione. L'allarme ha seguito la decisione dell'Alma Mater di Bologna di eliminare dalle proposte dei corsi di laurea, il corso di Economia del Turismo in lingua italiana, lasciando solo la sua versione in lingua inglese

Laura Laurenzi
9 Min di lettura

La lingua italiana è in serio pericolo, lo ha annunciato l’Accademia della Crusca tramite il suo presidente Paolo D’Achille, preoccupato per la decisione presa dall’Università Alma Mater di Bologna di eliminare dai suoi programmi il corso di laurea in Economia del Turismo, lasciando agli studenti la possibilità di iscriversi solo alla sua versione in inglese. Il corso di Economics of Tourism and Cities si è trasformato, da semplice corso di laurea in lingua inglese, in uno dei pericoli maggiori per la cultura italiana.

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Paolo D’Achille, Presidente dell’Accademia della Crusca

A sostenerlo è proprio Paolo D’Achille, tramite una lettera indirizzata al Rettore dell’Università di Bologna, Giovanni Molari, e alla ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini. Il Presidente dell’Accademia della Crusca, nella missiva pubblicata sul sito dell’Accademia si chiede come sia possibile che un corso tenuto totalmente in inglese possa “garantire il raggiungimento dell’obiettivo di un pieno possesso dell’italiano da parte di uno studente“. Una domanda lecita che, però, non sembra mettere in pericolo la comprensione e l’utilizzo da parte degli studenti italiani della loro lingua madre.

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Giovanni Molari, Rettore dell’Università di Bologna

Il vero fulcro della questione è un altro e la decisione dell’Università Alma Mater sarebbe solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. “La progressiva eliminazione dell’italiano dall’insegnamento universitario (così come dalla ricerca) in vista di un futuro monolinguismo inglese – si legge nella lettera indirizzata a Molari e Bernini – costituisce, come ha osservato anche la European Federation of Naztional Institutions for Language (EFNIL), un grave rischio per la sopravvivenza dell’italiano come lingua di cultura, anzitutto, ma anche come lingua tout court, una volta privata di settori fondamentali come i linguaggi tecnici e settoriali“.

Crusca, le preoccupazioni per l’italiano

A seguito della decisione dell’Università più antica d’Italia di eliminare un corso in lingua italiana per favorirne uno in lingua inglese, sono stati molti gli esperti che si sono espressi sulla questione. Tra questi Michele Cortelazzo, professore emerito di Linguistica italiana all’Università di Padova, che ha cercato di chiarire maggiormente il problema: “I corsi in lingua inglese non vanno ostracizzati a priori. Ci sono scelte addirittura obbligate in questo campo, come nel caso di un corso sulla cooperazione internazionale che ha senso sia tenuto prevalentemente in inglese“.

Il limite, secondo il professor Cortelazzo, risiede nell’osservazione delle prescrizioni di una sentenza della Corte Costituzionale, che sancisce dei limiti per le università sui corsi in lingua straniera. “La cosa che più mi colpisce è il fatto che molte università si guardino bene dall’osservare le prescrizioni della Corte Costituzionale – spiega Cortelazzo – Queste università come possono promuovere un’educazione alla legalità nei loro studenti se non rispettano le indicazioni di una della più alta corte italiana?“.

La questione, quindi, per Cortelazzo risiede più in una preoccupazione di tipo legale che culturale. Ad essere a rischio non è la lingua italiana ma la coerenza e il rispetto delle leggi da parte delle università. Perché allora l’Accademia della Crusca ritiene così grave il cambiamento operato dall’Università Alma Mater?

Crusca, i corsi universitari in inglese sono veramente un pericolo?

L’idea che l‘Università più antica d’Italia abbia ceduto alla globalizzazione, decidendo di preferire la lingua inglese all’italiano, ha terrorizzato l’Accademia della Crusca. Se l’Alma Mater ha rinunciato ad un corso in inglese, le università più recenti, quelle con meno storia e più pronte ad adattarsi ai progressi della società, potrebbero decidere addirittura di eleminare del tutto i corsi in lingua italiana, favorendo il monolinguismo inglese.

Una prospettiva, comunque, poco plausibile vista la situazione italiana in cui solo il 19,7% dei diplomati parla fluentemente inglese. Chi tra coloro che non rientrano in questa percentuale deciderebbe di seguire un corso universitario totalmente in inglese? La scelta obbligata non piace mai e per questo la diversità è fondamentale. Allo stesso modo, però, è necessario garantire a chi lo desidera, la possibilità di espandere i propri orizzonti e garantirsi la possibilità del trasferimento all’estero per motivi lavorativi, favorito dalla laurea conseguita in lingua straniera.

Una ex studentessa interessata ai corsi di Economia del turismo dell’Alma Mater di Bologna ha spiegato le differenze tra i due corsi, quello in lingua inglese e quello in lingua italiana: “Il corso in italiano aveva la sede a Rimini, quindi dislocato rispetto all’Università di Bologna, era molto isolato rispetto al resto della facoltà. Inoltre i corsi proposti non trattavano tematiche internazionali, non avevano un risvolto sul lato ambientale e per questo erano molto limitanti, rispetto al percorso di studi presentato dal gemello in lingua inglese“.

L’ex studentessa ha poi spiegato come le difficoltà a livello lavorativo derivanti dalla scelta del corso di Economia del turismo all’Alma Mater l’abbiano fatta desistere dall’iscriversi: “Il corso di economia del turismo non è neanche professionalizzante, perché per fare la guida turistica ad esempio serve il certificato e brevetti a livello Regionale. In sostanza quello che si poteva fare con questa laurea era lavorare nelle agenzie di viaggio, oppure dentro il ministero ma comunque con una formazione più specifica, che invece dà il corso in lingua inglese“.

Crusca, l’italiano sta veramente scomparendo dalle Università italiane?

Tutto ciò è un pericolo per la lingua italiana? La domanda è lecita, ma la risposta per ora sembra negativa, così come negativa è l’opinione dell’Accademia della Crusca, ancora troppo ancorata ai vecchi dettami della cultura italiana. Salvaguardare il nostro patrimonio è importante, ma non a discapito di coloro che tengono in considerazione le prospettive di lavoro estero, soprattutto in un Paese che non garantisce ai neolaureati un futuro florido.

Non è un caso che le università più competitive in Italia stiano aumentando le proposte di corsi di laurea in lingua inglese. Il 60% delle nuove lauree avviate tra il 2019 e il 2021 prevede l’inglese come lingua di insegnamento, come riporta il Report di Talents Venture. Nella maggior parte dei casi si tratta di lauree magistrali di settore scientifico e sono frequentati in percentuali maggiori da studenti stranieri giunti in Italia per completare il loro ciclo di studi.

Tra le università che supportano maggiormente la scelta dell’insegnamento in inglese rientrano l’Università privata Bocconi di Milano e la Luiss con l’88% di corsi in inglese. L’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo e il Saint Camillus a Roma, invece, offrono corsi solamente in inglese. Tra le università pubbliche, detiene il record il Politecnico di Milano con il 57% di corsi in lingua inglese.

Percentuali che in qualche modo dovrebbero spiegare come il mercato del lavoro stia cambiando e come sia fondamentale a livello di formazione la possibilità di prepararsi nel modo più adeguato a ciò che seguirà alla laurea. A questo punto, forse, l’Accademia della Crusca più che chiedersi in che modo salvare la lingua italiana dall’enorme pericolo rappresentato dalla lingua inglese, dovrebbe domandarsi come mai a molti studenti nel 2024 sembra più consono seguire un corso in lingua straniera piuttosto che in italiano. La scelta dell’Università di Bologna è solo un sintomo e non la malattia, che invece va ricercata nei molteplici problemi del mercato lavorativo italiano.

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