La Corte Costituzionale ha approvato il Jobs Act, ovvero le nuove tutele per i lavoratori. Tramite la sentenza n.22 del 2024 è stata infatti dichiarata “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, primo comma, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n.23, limitatamente alla parola espressamente”. In altre parole la Consulta ha eliminato “i paletti per tutti gli assunti con il contratto a tutele crescenti” e pertanto i casi di nullità del licenziamento non potranno essere previsti ‘espressamente’ dalla legge.
Il quotidiano “La repubblica” ha inoltre spiegato che “grazie alla sentenza della Corte è possibile integrare un lavoratore licenziato ingiustamente, anche se assunto con il Jobs Act, pure nei casi in cui è la giurisprudenza a elaborare la causa di nullità”.
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I motivi della contestazione
La Corte si è espressa sull’articolo secondo cui con la dichiarazione di nullità del licenziamento, in quanto discriminatorio o riconducibili ad altri casi simili “espressamente previsti dalla legge”, il datore di lavoro reintegri il lavoratore indipendentemente dal motivo del licenziamento. Articolo questo che va però ritenuto illegittimo nella parte in cui “si specifica che il reintegro viene riconosciuto per i lavoratori assunti con contratti crescenti nei casi in cui la nullità è espressamente prevista dalla legge”.
Ad essere contestata è dunque, principalmente, tale limitazione poiché essa sembra violare l’articolo 76 della Costituzione. Se infatti il Jobs Act era stato varato secondo la procedura che prevede una “legge delega”, per la Cassazione la tutela di reintegro dovrebbe essere previsto in tutti i casi di nullità del licenziamento senza alcun tipo di distinzione.
In merito alla questione i giudici hanno dichiarato – “Prevedendo la tutela dichiaratoria solo nei casi di nullità espressa ha lasciato prive di specifica disciplina le fattispecie escluse, ossia quelle di licenziamenti nulli si, per violazione di norme imperative, ma privi della espressa sanzione di nullità”.
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