In Australia hanno vinto Hanspeter, Siglinde, Mark e Jannik Sinner: ha vinto la famiglia del Mulino Bianco

Lo spot del Mulino Bianco ha scandito infanzia e adolescenza di alcune generazioni, con il ritratto di una famiglia serena e chiassosa, raccolta ogni mattina intorno al tavolo a inzuppare biscotti nel cappuccino. È in una famiglia così che è cresciuto Jannik Sinner. Una famiglia tradizionale ha prodotto un talento sportivo, un ragazzo straordinario sui campi da tennis e di straordinaria normalità fuori

Jean-François Paul de Gondi
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Si sbaglia a immaginare che da qui a qualche tempo la famiglia Sinner, in quel di Sesto Pusteria, sarà passata al setaccio da inchieste giornalistiche anche solo per il gusto di cogliere qualcosa di eccentrico, qualche scheletro anche piccolo custodito negli armadi di casa? Perché una famiglia con una normalità così debordante, con un figlio sul tetto del mondo nel tennis che vince gli Australian open e, sì, esulta, certo, ma lo fa con una compostezza quasi offensiva per i suoi 22 anni. Non annuncia sbronze con il suo team, non è circondato da sdolcinate pantere coetanee pronte a sbranarlo e a intontirlo di sesso.

Ma vi può sembrare un campione assoluto di tennis un ragazzo che non vede l’ora di tornare a Sesto per giocare con gli amici alla play-station, o andarsene al bar del paese e magari inforcare gli sci per una discesa sulla croda di Sesto?

È difficile da accettare, e ancor più da credere, in un tempo dominato dal frastuono dei social, dal baluginio ammiccante del successo che tutto rende facile e possibile, travolge regole e norme, che esista Jannik Sinner, un tennista di stupefacente bravura racchiuso nella persona di un ragazzo straordinariamente normale, cioè prevedibile, quasi barboso e offensivo per i suoi 22 anni.

Quando, dopo aver rimontato e annichilito Medvedev, si rivolge al pubblico che gremiva la Rod Lever Arena, e alle telecamere confessa di volere “che tutti quanti avessero i miei genitori, come li ho avuti io perché mi hanno sempre permesso di scegliere anche quando ero giovane decidevo io. Non mi hanno mai messo sotto pressione anche quando facevo altri sport“, Jannik Sinner ha fatto qualcosa di eccezionale: ha sciolto un inno alla famiglia, alla libertà di cui ha goduto senza misura, e al senso di responsabilità che da essa è scaturito.

Con un simile vademecum per il successo Sinner ha travolto stereotipi e luoghi comuni che da anni accompagnano l’infelicità di intere generazioni. Ragazzi costretti a performare nel calcio o nel nuoto o nella danza per placare l’ansia arrivista di genitori che proiettano su di essi le frustrazioni delle loro vite e sono in cerca di un riscatto sociale, dei soldi, del benessere. Capiamo adesso perché ogni delusione data a papà e mamme è tornata indietro sulla testa di quei figli irriconoscenti, che si sono rifiutati di diventare Gigi Riva o Messi, Sinner o Federica Pellegrini o Mennea e si sono rinchiusi nella loro stanza a farsi di coca?

Fai quello che puoi, accada quel che deve, era il monito di Gaetano Salvemini, che con lo sport e il successo c’entra come i cavoli a merenda. Jannik ha fatto quel che voleva: ha sciato, e lo ha fatto con successo. Poi ha imbracciato una racchetta da tennis e ha visto che si divertiva forse di più. E mamma Siglinde e papà Hanspeter o il fratello adottivo Mark a incoraggiarlo: bravo, bene, avanti ma non ti spolmonare, divertiti.

Campione di divertimento, preso sul serio, ma sempre divertimento. Si spiega così quella calma olimpica con cui scende in campo, ammaestra e ammansisce le cannonate che arrivano dalle racchette di Djokovic o Alcaraz o Rublev. E gliele restituisce con tanto di interessi. Ma con calma, senza cattiveria e mai nulla di personale. Con potenza e intelligenza, queste sì. Con lungolinea traccianti come quei missili che illuminano la notte, con la palla che si deposita a 1-2 centimetri dalla linea di fondo campo e invece di rimbalzare schizza come un proiettile sulla racchetta dell’avversario, costretto a rimetterla alla bell’e meglio.

Nessuna immagine deve attraversare la mente di Sinner quando colpisce quella pallina gialla segnata da due solchi elicoidali. Non l’immagine dei canederli o del gulash che il suo papà-cuoco Hanspeter starà preparando per gli ospiti delle sue zimmer. Né l’immagine di mamma Siglinde che porta quei piatti fumanti ai tavoli. Né l’immagine di Mark, fratello adottivo arrivato a Sesto per irrobustire una famiglia con un solo figlio e accolto da Jannik con la gioia che si riserva al fratello. Sembra incredibile che tutto questo accada nel 2024. Fuori da questo, c’è il frastuono di un mondo che se ne va a ramengo di suo.

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