La conferenza di fine anno, rinviata a causa della salute, è diventata, grazie alla salute ritrovata, un incontro di prospettiva sul 2024. Giorgia Meloni ha confermato una volta di più, di fronte alle domande, qualcuna incalzante, molte accondiscendenti, di essere una straordinaria comunicatrice. A Palazzo Chigi, insomma, non ci è arrivata per caso o per un disguido delle stelle. Ha difeso la sua maggioranza, ha derubricato i contrasti a un confronto leale con gli alleati, e si è tenuta un metro fuori dalle polemiche sui casi giudiziari. Il povero Pozzolo, il deputato pistolero di Biella, sarà il solo a pagare per tutti. Si vedrà se con un’autosospensione o una sospensione dal gruppo parlamentare.
Alle vicende giudiziarie che riempiono le cronache di questi giorni Meloni ha messo con disinvoltura la sordina: nessun commento finché non ci sarà una sentenza. Quanto a Salvini, la presidente non ritiene che sia in dovere di riferire al Parlamento sull’inchiesta che coinvolge Denis Verdini e suo figlio, Tommaso, solo perché legati da quasi parentela con il ministro.
L’intero capitolo giudiziario è stato affrontato con toni soft, senza mai un’impennata della voce, come è stata un po’ tutta la conferenza. Ai giornalisti che la volevano nei panni della Sibilla cumana, Meloni ha spiegato che non ha ancora deciso sulla sua candidatura alle elezioni europee. Vuole capire le intenzioni degli altri leader perché se decideranno di candidarsi, lei non intende sottrarsi. Per la semplice ragione che in ballo c’è il consenso elettorale e Meloni ha fatto capire che farà di tutto per tenere sempre alta l’asticella.
Più agevole è stato per lei affrontare la situazione complessiva dell’economia. Le cifre snocciolate sembrano dare ragione al suo ottimismo, con lo spread sul Bund tedesco che oscilla intorno a 160 punti e la Borsa italiana che ha chiuso l’anno in testa a tutte le altre Borse. Meloni è tornata a farsi cauta, quasi imbarazzata, sul quadro europeo. Detto che la riforma del Patto di stabilità non è quella che lei avrebbe voluto, ha omesso qualsiasi riferimento ai parametri stringenti, quasi un nodo scorsoio, sui conti pubblici: è vero, è stata la sua difesa, che il Patto entrerà in vigore dal 2025 ma si tratterà, da qui a 12 mesi di mettere in cantiere un rientro di 12 miliardi di euro ogni anno.
Le opposizioni ovviamente hanno sparato ad alzo zero contro il quadro in rosa disegnato da Meloni. Il più duro di tutti è stato Matteo Renzi. A suo giudizio Meloni ha inanellato tante di quelle bugie mai prima sentite a una conferenza di fine anno. La verità è che tanto le parole di Meloni quanto le frustate delle opposizioni sono a beneficio della campagna elettorale europea, di fatti avviata da un pezzo. È difficile immaginare la finanza pubblica fuori dalle difficoltà.
Secondo Bankitalia la crescita del Pil nel 2024 non andrà oltre lo 0,6%, ben lontano dall’1,2 ipotizzato dal governo nella Nadef. Fuor di dubbio che Meloni ha voluto forzare la narrazione di un Paese in piena salute economica e sociale. Una prospettiva plausibile se muterà il contesto europeo e il ciclo economico si porterà fuori dall’attuale fase di debolezza. Un colpo messo a segno da Meloni, però, va registrato: ci sarà il confronto fra lei e Schlein. L’obiettivo dichiarato del duello è sospingere dietro le quinte tutti gli altri protagonisti, di maggioranza e di opposizione. Per Meloni significa scrollarsi di dosso il fiato di Salvini e di Tajani, a Schlein si offre l’occasione di attenuare la sudditanza strategica del Pd rispetto a Conte.
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