Donne, oltre le gambe c’è di più: per la Mennuni “la missione di diventare madri”

Mennuni: “Per una donna la prima aspirazione deve essere quella di diventare mamma” e si accende la polemica sul discorso fatto dalla senatrice di FdI che catapulta la figura della donna direttamente al medioevo

Lucrezia Caminiti
6 Min di lettura

Abbiamo un problema enorme. Anzi fosse solo uno, come diceva mia madre “staremo a cavallo”. Ma chi starebbe “a cavallo”? Di sicuro non le donne che in Italia più che sopra qualcosa finiscono letteralmente sotto ogni cosa: sotto accusa per essere state stuprate, come Silvia (nome di fantasia) la ragazza del caso Grillo Jr., sotto il potere schiacciante di un uomo, come Saman Abbas, o sottoterra, come Giulia Cecchettin, Vanessa Ballan, Giulia Tramontano e si potrebbero fare altri 100 nomi solo di quelle uccise quest’anno.

Poi accendi la televisione, guardi un programma a caso, per esempio Coffee Break su La7 e ascolti Lavinia Mennuni, senatrice di FdI, e dopo tutto quello che è successo recentemente, sentendo le sue parole ti viene solo da pensare: “No, non è possibile”.

Mennuni: “La missione delle donne è fare figli”

Oggi per le donne avere una carriera promettente e in contemporanea avere una famiglia, come del resto ha fatto anche la Mennuni, non è facilitato dalle azioni di governi che non hanno facilitato in nessun senso il binomio mamma-donna in carriera. Ma a livello concettuale, oltretutto da donna, come si può affermare tranquillamente in un programma che “per una donna la prima aspirazione deve essere quella di diventare mamma” e che “dobbiamo ricordarlo alle nostre figlie altrimenti il rischio è che in nome della realizzazione professionale dimentichiamo che esiste la necessità e la missione di mettere al mondo dei bambini”.

Oltretutto, l’appello è rivolto ai giovanissimi: “Noi dobbiamo aiutare le istituzioni, il Vaticano e le associazioni a far diventare di nuovo la maternità cool, dobbiamo far sì che le ragazze e i ragazzi di 18-20anni vogliano sposarsi e crearsi una famiglia” ha concluso la senatrice FdI su La7. Non è cool, è dissacrante per tutte le ragazze di 18anni che prima di pensare ad un figlio, se lo vogliono, dovrebbero pensare a loro stesse, alle loro ambizioni: studio, libertà e indipendenza come scelta di vita.

Rampelli: “Il pensiero unico di sinistra è contro chi crede nella famiglia”

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Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera di FdI

Ovviamente dopo tutte queste affermazioni anacronistiche, la senatrice Mennuni è stata fortemente attaccata dalle opposizioni ed è corso a difenderla Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera di FdI: “Il pensiero unico di sinistra è contro chi crede nella famiglia. Impone il disconoscimento della funzione più preziosa dell’intera umanità, una funzione che alla donna ha consegnato la natura, non il patriarcato”.

Classico esempio comunicativo di Fratelli d’Italia, dopo un anno ci siamo abituati: usare termini impropri e inventati contro nemico “x” (tipo l’invenzione della “propaganda gender”). Le affermazioni di Rampelli per difendere la senatrice Mennuni non hanno alcun senso. Che c’entra mettere in mezzo “la sinistra”, che cos’è il pensiero unico della sinistra? Ma chi l’ha detto che poi sia contro la famiglia? E infine eccola lì, la parola patriarcato buttata a caso.

Un classico esempio di “buttarla in caciara”: si scelgono nemici contro cui accanirsi per togliere i riflettori dalle reali questioni del Paese.

C’è ancora domani?

Il piano per le donne disegnato dalla politica e, anche da questo governo è un disastro. A farne un punto perfetto Carlotta Vagnoli sul “The Italian Review: “La retorica dell’aborto come trauma e uccisione, le proposte per le stanze di ascolto del battito del feto, l’idea di una legge che garantisca riconoscimento giuridico del feto in casi di femminicidio in cui la donna uccisa è incinta, la balla sulla teoria gender, l’ossessione per la famiglia tradizionale, le frasi sessiste in difesa del fu first gentleman, il bonus secondo figlio alle donne che avrebbero “contribuito alla società” procreando, la retorica della sostituzione etnica e la virtù femminile di dover diventare madre: il disegno della donna nella triade ideologica di Dio-Patria-Famiglia tanto cara al governo si è andata man mano solidificando”. Ecco, dopo questo riassunto esemplare di fine anno risentiamo in televisione la storia della donna che ha come missione quella di fare figli e che viene, di nuovo, relegata a una semplice funzione biologica.

Perché, come ha suggerito Vagnoli non iniziamo a parlare delle “modifiche strutturali necessarie per garantire una parità di genere? Quest’ultime dovrebbero riguardare “il tessuto sociale, welfare, accessibilità al lavoro, contrattualizzazione dello stesso, ridefinizione dei ruoli educativi e di cura, congedo di paternità, incentivi ai giovani, regolamentare gli affitti” bisogna “garantire futuro, non promesse inesistenti dettate dalla paura di una rivoluzione culturale che è in atto ormai da un secolo”.

Più andiamo avanti più torniamo indietro. Tutto oggi dura il tempo di una diretta, di una storia su Instagram, dei media che decidono quanta forza dare o meno ad una storia. Così è deprimente. Così viene da chiedersi se le persone sono ancora capaci di indignarsi e mantenere questo sentimento acceso per più di una settimana. Se le persone sono ancora capaci di avere dei valori, se si ricordano ancora com’è fare una vera rivoluzione. Se cambierà davvero qualcosa, se ci sarà per le donne ancora domani.

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