“Dicono che son so-,
Dicono che son so-,
Dicono che son solo canzonette,
Ma poi però le ca-,
Ma poi però le ca-,
Ma poi però le cantano un po’ tutti Fanno la ri-, la ri- Fanno la ri-, la ri- Fanno la ri-, la rima amore e cuore,
Ma della nostra Ita-
Ma della nostra Ita-
Ma della nostra Italia hanno il sapore” ……..
Questa canzone no-
Questa canzone no-
Questa canzone nostra per Sanremo Grazie dei fiori, Grazie dei fiori Grazie dei fiori bis Grazie dei fiori, grazie dei fiori Grazie dei fiori gra-Cha-cha-cha
Stiamo tutti a Sanremo per cantà
Stiamo tutti a Sanremo per cantà
Stiamo tutti a Sanremo per cantà
Stiamo tutti a Sanremo per cantà“.
Il lettore dotato di una matura anagrafe e naufrago di una giovanile teleinsonnia recherà per sempre impresse nella memoria le non più smemorabili strofe canore con cui Renzo Arbore e Nino Frassica rendevano burlesque le ore che precedevano il sonno. Era il 1986. Guardare Indietro tutta rendeva più lieve il peso della giornata finita e la televisione che satireggiava su se stessa ci rendeva nuovamente compatibili con la televisione. Il lettore ci scuserà per la lunga citazione iniziale, ma quel Grazie dei fiori bis che arriva dagli anni della nostra giovinezza rimane tutt’oggi la migliore critica sociologica e televisiva del Festival di Sanremo.
Vero, si dirà, che se Umberto Eco facesse parte della minoranza avrebbe probabilmente arricchito il suo Diario minimo uscito da Mondadori giusto 60 anni fa, di una Fenomenologia di Amadeus senza lesinare in cattiveria, o in vertiginose metafore sociologiche. Perché di una fenomenologia si tratta. È quella del vuoto. Come riempire il vuoto di realtà di un Paese, anzi, di una Nazione rinsecchita nelle ambizioni, frustrata negli slanci, insonorizzata nel sentimento collettivo.
Non vola una mosca, ma volano le note che arrivano dal palco dell’Ariston. Amadeus è un conduttore di antica scuola. Ad agosto, o chissà, anche prima, comincia a srotolare nastri, telefonare a co-conduttori e co-conduttrici, ascoltare file di aspiranti sanremesi. Poi arriva il momento delle esclusioni, più rumorose delle scelte. Fuori Patty Pravo, fuori Arisa, fuori Zero, fuori Albano, fuori Ermal Meta. Il restante è Sanremo. Saremo Sanremo perché lo vuole Amadeus, dicono i rimanenti, i resistenti alla sua sanguinosa selezione.
Il prossimo sarà il suo quinto festival. Per il quinto anno consecutivo ascolteremo la musica di Amadeus. Per i prossimi mesi gli italiani potranno gracchiare i refrain di canzonette sempre più povere di amore-cuore. Che poi Sanremo è una musicalità che scandisce i decenni della vita del Paese. Gli anni ‘80 sono stati sbarazzini e creativi?
Eccoti i ‘90 melodici, eccoti Pausini, Giorgia che rinsanguano melodie altrimenti destinate al macero della memoria. Poi si cambia calendario e millennio e i generi si mescolano, melodici, sbarazzini e creativi si incontrano e si scontrano sul palco dell’Ariston. Mai rivoli di sangue, però. Amadeus aborre il vermiglio. Lui è il Bruno Vespa della canzone, di quella che si impiccia della società senza la pretesa di modellarla. Di amori Lgbtq+, di Fedez che sbaciucchia Rosa Chemical, e della di lui metà che ancheggia sul palco con sguardo vitreo-indulgente.
Amadeus soffia dentro l’ampolla di una società ibridata da confusione e cicaleccio, impastata di ambizioni che albeggiano e tramontano in frustrazione senza rispettare il ciclo del giorno e della notte. Allora Fai rumore per un amore così così o non sai più Che giri fanno due vite, ammesso che sia stata insufficiente una vita da single. Il tutto scorre nella solennità di un palco che impone adorazione da chi se ne sta stravaccato sul divano di casa, e autorizza urla e strepiti del pubblico in sala. Neanche bastasse più il papillon nero sullo sparato bianco a redimere la mediocrità delle signore e signori che occupano le poltrone di prima fila.
Hanno provato, oh se ci hanno provato, a rimuovere Amadeus. Poi anche Meloni e Lollo hanno capito che non si può rimuovere lo specchio che meglio di tutti riflette l’Italia. Puoi scaricare Salvini dalla maggioranza, imbarcare Conte, fare tutto quello che vuoi in Parlamento. Ma toccare Amadeus, no. Verrebbe meno il risultato elettorale del 25 settembre 2022.
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