Un falso regista che incontrava donne in luoghi pubblici per proporre loro parti in produzioni cinematografiche inesistenti, il tutto solo per abusare di loro. Una violenza sessuale a danno di ragazze che stavano inseguendo il sogno della recitazione, pronte ad entrare in un mondo complesso e spesso impenetrabile. Le stesse che però sono cadute nella rete di Claudio Marini che, approfittando del suo potere – anche se in questo caso solo fittizio – per le adescava e poi le violentava.
Gli incontri con le aspiranti attrici avvenivano prima in un luogo pubblico, per poi spostarsi in un appartamento privato dove Marini dava inizio alle violenze. La scusa era quella di avere un luogo appartato per provare una scena, un provino vero e proprio che avrebbe potuto portare alla fama le ignare vittime. L’uomo, invece, le costringeva a rapporti sessuali per poi mandarle via come se nulla fosse accaduto.
Leggi Anche
Violenza sessuale, la sentenza del Tribunale di Roma
Claudio Marini è stato condannato ad 11 anni e 9 mesi di carcere dai giudici della quinta sezione pensale del tribunale di Roma, che hanno deciso di punire lo stupratore con una pena superiore a quella richiesta dalla Procura, che aveva sollecitato una condanna a 9 anni.
L’uomo era stato arrestato nel 2020 con l’accusa di violenza sessuale nei confronti di otto donne, ma durante il processo era tornato libero a causa della scadenza dei termini. Le modalità di adescamento sono risultate sempre le stesse, grazie alle testimonianze delle vittime, che hanno tutte raccontato la stessa versione della storia. Prima un annuncio di lavoro, poi la presentazione di Claudio Marini, sotto nome falso, come un regista che era stato incaricato di effettuare i casting per una società cinematografica anche questa, come si scoprirà poi, inesistente. Poi le violenze nell’appartamento privato.
Durante il processo le denunce nei confronti dello stupratore sono salite da 8 a 12 e l’associazione Differenza Donna si è costituita parte civile per esprimere sostegno alle vittime dell’imputato.
Una sentenza che rafforza il movimento #Metoo italiano
Differenza donna insieme all’associazione Amleta si sono schierate a favore delle dodici donne vittime dell’imputato, cercando di portare alla luce il caso e di fare giustizia. La sentenza ha accontentato le richieste delle associazioni che si sono espresse commentando così la vicenda giudiziaria: “Questa sentenza rappresenta una nuova era, l’era del ‘me too’ italiano, un movimento che parte dalla forza delle donne del mondo dello spettacolo dalla loro consapevolezza dei loro diritti negati, delle molestie e violenze sessuali che restano ancora invisibili”.
Le associazioni hanno poi commentato la loro presenza nel processo per violenza sessuale: “Il movimento ha preso forma e voce anche nel nostro Paese grazie alla determinazione di tante donne attrici e aspiranti attrici come le 12 parti offese di questo processo seguite e sostenute dall’associazione ‘Differenza Donna’ che si è costituita parte civile nel processo e che insieme all’associazione ‘Amleta’ lotta per svelare la gravità e la diffusione di molestie e violenza sessuale in questo contesto dove permangono stereotipi e pregiudizi sessisti. Le violenze e le molestie sessuali che le parti offese hanno subito durante provini approfittando della situazione di potere sono crimini che vanno puniti”.
© Riproduzione riservata