Ameba mangia cervello: il rischio per chi fa lavaggi nasali

L'ameba mangia cervello sta terrorizzando il mondo, anche se l'esposizione a questo particolare organismo è molto rara e complessa

Redazione
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Lo scorso novembre aveva fatto il giro del mondo la notizia di un bambina di 10 anni morta a causa di una ameba mangia cervello, che è entrata nel suo organismo durante un bagno in piscina in Colombia. Una morte tragica, diffusa soprattutto per sensibilizzare sui pericoli dei batteri che si possono contrarre anche con un semplice bagno in una piscina pubblica o privata.

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Un’immagine della Naegleria fowleri al microscopio

Il rischio esiste anche per chi effettua dei lavaggi nasali. In marzo lo avevano evidenziato i Cdc americani e ora lo confermano gli esperti della Società italiana di allergologia e immunologia pediatrica (Siaip), riuniti in congresso a Genova.

Riconoscere i sintomi causati da questa ameba può essere fondamentale per scongiurare il decesso, che è stato riscontrato nel 97% dei casi finora registrati. Ad aver provocato la morte della bambina è stata una particolare ameba dal nome scientifico di Naegleria fowleri, che in pochi giorni ne ha causato la morte celebrale.

Cos’è la Naegleria fowleri o Ameba mangia cervello

La Naegleria fowleri è un’ameba, ovvero un organismo vivente composto da una singola cellula. È così piccola da poter essere vista solo attraverso un microscopio. Si trova comunemente nell’acqua dolce di laghi, fiumi e fonti calde, così come nel terreno di ogni parte del globo. Esistono diverse tipologie di Naegleria ma solo la Naegleria fowleri può infettare gli esseri umani.

Come l’ameba mangia cervello può infettare l’uomo?

L’ameba mangia cervello può infettare l’uomo quando l’acqua contenente l’ameba entra nel corpo umano attraverso il naso e tipicamente ciò avviene durante l’immersione in fonti contaminate. La Naegleria fowleri dal naso viaggia fino al cervello, dove distrugge i tessuti celebrali e causa un’infezione devastante chiamata Meningocefalite amebica primaria, che non è in tutti i casi fatale.

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Un’immagine della Naegleria fowleri al microscopio

Ci sono stati studi che hanno individuato l’ameba nelle acque utilizzate durante le pratiche religiose che prevedono l’abluzione, come nel battesimo cattolico. Non ci sono però fonti che individuino il batterio nelle particelle di vapore o aerosol.

Essendo un organismo che si sviluppa ad alte temperature, solitamente superiori ai 46°, le fonti d’acqua da tenere maggiormente sotto controllo sono quelle che si avvicinano a queste temperature, in particolare se non perfettamente disinfettate. È infatti impossibile entrare in contatto con l’ameba in piscine che abbiano subito trattamenti specifici di disinfezione.

Quali sono i sintomi dell’infezione da Naegleria fowleri?

I sintomi iniziali dell’infezione causata dall’ameba mangia cervello sono solitamente simili a quelli della meningite batterica. Si presentano solitamente cinque giorni dopo l’infezione, con mal di testa, febbre, nausea e vomito. In seguito è possibile accusare problemi alla cervicale, confusione, mancanza di attenzione, svenimenti, allucinazioni e infine il coma. Dopo l’inizio dei sintomi, la malattia si diffonde rapidamente e causa solitamente la morte entro 5 giorni, anche se il periodo può allungarsi anche fino a 18 giorni.

Una notizia rincuorante riguarda il grado di infettività della malattia, che è quasi nullo e non è trasmissibile da persona a persona. I casi registrati di questa particolare infezioni sono molto pochi, anche a causa della difficoltà con cui l’ameba può entrare all’interno dell’organismo umano. Dal 2013 al 2022 negli Stati Uniti sono state registrate 29 infezioni, in particolare riguardanti adolescenti. Non è chiara la correlazione tra il contagio e l’età delle vittime.

Le cure e i trattamenti per l’infezione

A causa della rarità dell’infezione da Naegleria fowleri e della velocità con cui attacca i tessuti cerebrali del corpo umano, non esistono ad oggi cure efficaci per questa malattia. Alcuni medicinali sono più efficaci di altri come l’azitromicina, il clotrimazolo, l’itraconazolo, il fluconazolo e il ketoconazolo.

La maggior parte di queste cure sono state utilizzate in pazienti che sono riusciti a sopravvivere all’infezione, anche grazie alle cure immediati dopo l’insorgenza dei primi sintomi. Non è però sempre semplice individuare questo batterio, che molto spesso viene scoperto solo grazie all’autopsia post-mortem.

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