Una notizia che ha portato gioia ai famigliari e agli amici di Beniamino Zuncheddu, che dopo ben 32 anni di carcere ha potuto riaprire la porta di casa sua e assaporare la libertà, ma che ora accende i riflettori sui casi di errori giudiziari causati da false testimonianze che si susseguono nel nostro Paese.
Beniamino Zuncheddu ha trascorso trentadue anni in cella dopo essere stato ritenuto colpevole della strage del Sinnai avvenuta nel 1991, in provincia di Cagliari. Una vicenda che ha visto morire tre pastori e che grazie alla testimonianza di un sopravvissuto ha trovato il suo colpevole: Beniamino Zuncheddu, un pastore che lavorava in un ovile concorrente e che sembrava non intrattenere buoni rapporti con le vittime.
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Una testimonianza che è arrivata quasi due mesi dopo il fatto, dopo che il sopravvissuto aveva più volte dichiarato di non poter riconoscere l’assassino a causa di una calza di nylon che gli copriva il volto. Poi d’improvviso l’uomo ha indicato proprio Zuncheddu come autore del fatto, il quale è stato quindi condannato per triplice omicidio.
Sabato scorso è arrivata la notizia della scarcerazione, possibile grazie all’azione della Procuratrice Generale Francesca Nanni, che dal 2019 combatte per portare alla luce la verità sul caso e scagionare Beniamino Zuncheddu. “La notizia ha preso in contropiede anche me, non me l’aspettavo“, così Nanni commenta la scarcerazione, pronta a portare in aula le prove dell’innocenza dell’uomo.
Le dichiarazioni di Francesca Nanni sul caso Zuncheddu
Francesca Nanni, Procuratore Generale di Cagliari, ha raccontato a Il Giornale di come, nel 2019, si sia imbattuta nel caso di Beniamino Zuncheddu e di come si sia immediatamente resa conto che qualcosa non quadrava. “Venne a trovarmi il giovane difensore di Zuncheddu e il suo racconto mi colpì. Dopo 28 anni di galera aveva rinunciato alla libertà condizionale, perché per ottenerla avrebbe dovuto ammettere la responsabilità degli omicidi“. Un dettaglio che ha fatto riflettere la procuratrice, esortandola a rileggere le carte del processo per individuare qualche contraddizione. Non è stato difficile rendersi conto che le accuse contro Zuncheddu non reggevano e che c’erano tutti gli estremi per chiedere una revisione della condanna.
“Ho passato le informazioni alla procura di Cagliari che ha aperto un fascicolo per omicidio e ha intercettato Luigi Pinna, il sopravvissuto della strage. La sentenza si basava per il 90% proprio sulle sue dichiarazioni. Mi è sembrato quindi lecito chiedergli come potesse aver identificato Zuncheddu nonostante la calza di nylon e il buio“. Proprio grazie ad un colloquio con la moglie Pinna aveva ammesso un’altra versione, concernente un poliziotto troppo inserito nelle indagini. “Un poliziotto gli aveva detto che l’assassino era Zuncheddu e quindi di accusarlo“.
Una confessione che ha cambiato del tutto le carte in tavola ed ha permesso di portare alla scarcerazione di un uomo che ha passato ben 32 anni della sua vita in un carcere, a quanto pare ingiustamente.
Il problema gravissimo degli errori giudiziario
L’indignazione del caso Zuncheddu si unisce a quella degli altri 222 di errori giudiziari che sono stati registrati dal 1991 ad oggi. Un numero impressionante se si pensa alle condanne ingiuste che hanno costretto ben 222 persone a trascorrere brevi o lunghi periodi in carcere. Giorni, mesi ed anni che nessuno potrà restituire alle vittime di questi errori e che portano con sé l’aggravante economico dei risarcimenti che devono ovviamente seguire le ingiuste condanne.
Nella vicenda di Zuncheddu ha ovviamente pesato la gravità del reato di triplice omicidio e la conseguente necessità di fare giustizia il prima possibile. Una necessità che ha spinto un poliziotto ad esortare un testimone a dichiarare il falso per chiudere il processo il prima possibile. Una decisione che però è costata molto cara all’imputato e che allo stesso tempo ha lasciato a piede libero il vero assassino per ben trentadue anni.
Un errore umano che però, spesso e volentieri, si incontra con pessime leggi e ordinamenti giudiziari. Un sistema, come spiega Il Dubbio, che “ad ogni promessa di sicurezza fa corrispondere la perdita di garanzie, ad ogni promessa di fare giustizia fa corrispondere il rischio di sottrarre la libertà di un uomo“. La risposta sta nell’inversione di rotta e nella capacità di costruire un sistema di giustizia che sia capace e corretto, che sia in grado di far corrispondere giuste pene a condanne che siano certe.
Un cambio di rotta che però non sembra far parte della nuova riforma della giustizia, che invece si dirige verso processi e accuse più veloci, con uno snellimento delle procedure allo scopo di risparmiare risorse economiche, come richiesto dal Pnrr.
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