Da ieri si è sollevato un enorme dibattito intorno alla figura del docente-psicologo-consulente Alessandro Amadori. Il Domani in un articolo ha espresso la perplessità del suo ruolo cardine, specialmente in seguito al suo libro “La guerra dei sessi. Piccolo saggio sulla cattiveria di genere” dove sostiene delle tesi che, secondo il giornale, andrebbero in collisione con l’insegnamento di educazione affettiva nelle scuole.
Amadori è un docente a contratto di psicologia all’università Cattolica di Milano e consulente per il ministero con un compenso di 80mila euro lordi l’anno. Non è un esperto di violenza di genere e il suo libro, al centro delle polemiche in questi giorni, lo testimonia.
Leggi Anche
È un testo che parla di psicologia dell’uomo e della donna e che derubrica la violenza di genere all’espressione “cattiveria”, “aggressività” di entrambe le parti ma in modi diversi. Attenzione, non è che il suo studio non sia valido o che le sue analisi siano fallaci, semplicemente non sono pertinenti al tema del femminicidio. Sarebbe ora che in Italia si affrontasse davvero la vexata quaestio: occorrono addetti ai lavori “ad hoc” in grado di stilare un serio programma nelle scuole. Valido e pertinente.
Amadori difendendosi si fa un clamoroso autogol
Per quanto scritto nel suo libro, è stato duramente attaccato e oggi si è difeso con due interviste rilasciate rispettivamente a La Stampa e a il Giornale. Amadori ha spiegato le analisi riportate nel libro, affermando: “Il mio libro parla dell’elevata conflittualità tra i generi che dipende da due cause. La prima è che l’immaginario maschile non si è evoluto. Non hanno fatto ciò che è riuscito alle donne con il movimento femminista. La seconda causa è il potere, a livello planetario che si sta spostando sempre di più verso le donne.
“Questo sistema – continua – mette in crisi una minoranza di uomini meno evoluti dal punto di vista psicologico e la loro risposta è la violenza di genere. Però si stanno irrigidendo anche le posizioni di una parte dell’immaginario femminile. Esiste un’aggressività femminile che è più psicologica, di lungo periodo, mentre quella maschile è più esplosiva e fisica. L’aggressività è un problema del genere umano”.
Amadori è un “not all man”
È proprio in queste affermazioni che il Amadori fa – inconsapevolmente – un’operazione chiamata “not all man”, cioè quell’affermazione da parte degli uomini, che si traduce letteralmente in “non tutti gli uomini”. Quindi, non tutti gli uomini stuprano, non tutti gli uomini uccidono le donne, non tutti gli uomini sbagliano. È lui stesso a parlare di “una minoranza di uomini non evoluti” ed è lui stesso ad affermare nelle interviste che il problema dell’aggressività che riguarda gli uomini è “quantitativo” e quello che riguarda le donne è “qualitativo”.
Questo, però, sposta il centro del discorso dal nostro focus e dall’insegnamento che gli studenti e le studentesse si aspettano nella materia dell’educazione affettiva. Voler forzatamente puntualizzare che non tutti gli uomini sono “cattivi” significa togliere dall’equazione il fatto che molti lo sono. Amadori, lo fa affermando, sempre a proposito del suo libro, che “c’è una semplificazione narrativa per cui le donne sono sempre buone e gli uomini sempre un po’ più cattivi. Le donne sono più evolute ma anche loro hanno limiti e aggressività”.
Sicuramente Amadori, per spiegare il suo punto di vista è incappato in questa criticità e fa un passo indietro, invece che avanti, nel far accettare che si tratti di un fenomeno ampio, diffuso, reiterato, che coinvolge molti più uomini di quanto si possa pensare e non una “minoranza poco evoluta”. Il problema dell’aggressività, da ambi i sessi esiste, ma non è il focus del problema, non questo. La matrice è di tipo culturale ed influenza a livello inconscio la componente psicologica, campo di studi del docente.
Amadori: “Il patriarcato è solo un pezzettino del problema”
Inoltre, Amadori ha affermato che la colpa è solo in parte da imputare al patriarcato e che questo sarebbe “solo un pezzettino del problema”. Precisando poi che “è più importante che noi maschi ci fermiamo e ragioniamo su noi stessi per capire il perché alcuni di noi distruggono le vite degli altri. Lo stesso patriarcato nasce da una minore capacità maschile di elaborare le emozioni”. Ancora il problema è la persistenza di una cultura che incide sulla questione della violenza di genere.
Le ipotesi avanzate da Amadori non fanno muovere di un millimetro il dibattito intorno alla questione, anzi ne pregiudicano lo sviluppo. Come può essere solo un pezzettino del problema? La componente che si sviluppa negli uomini che uccidono, stuprano le donne e pensano siano oggetti da possedere, prende le mosse da un sistema culturale sbagliato.
Amadori lancia anche un appello: “Credo nel dialogo tra i due sessi, voglio cogliere l’occasione per lanciare un appello ai maschi: dobbiamo metterci in discussione e fare quello che hanno fatto le donne con il femminismo. La mia idea era quella di utilizzare il libro per fare dei corsi agli uomini. A questo punto credo che li organizzerò”.
Anche leggendo queste parole viene da chiedersi, perché solo gli uomini? Non sarebbe meglio utilizzare un altro libro per parlare della problematica? Non erano una minoranza poco evoluta? Forse il modo giusto non è riproporre il dualismo che permea tutto il libro ad una platea di soli uomini, forse è ora di ammettere che non è un problema della minoranza e che soprattutto si tratta di un problema sociale.
La posizione di Amadori puzza di subordinazione, discriminazione e violazioni
È sicuramente vero che gli esseri umani sono aggressivi in modi diversi e che i fenomeni di violenza sono i più disparati portati avanti da entrambi i sessi, ma bisogna ritornare al punto di partenza e smettere di trasformare la sistematicità della violenza sulle donne in qualche altra declinazione di tipo esistenziale che poi non serve a nulla.
Nell’insegnamento si deve affrontare il tema in maniera diversa e far sì che quello di Amadori resti un contributo, che anche ove fosse valido resta marginale. Bisogna allargare il discorso e non parlare più solo di psicologia, di Freud e di individualismi, ma destrutturare tutta un’impalcatura che puzza di subordinazione, discriminazione e violazioni.
© Riproduzione riservata