Erdogan: il sultano ha scelto Hamas Finito il tempo degli equilibrismi

Finora il presidente turco era riuscito a giocare su due tavoli: amico dell’Occidente e della Nato e sostenitore della causa palestinese. Un equilibrismo impossibile da reggere dopo il 7 ottobre e dopo che il sultano si è schierato apertamente dalla parte di Hamas

Beppe Santini
6 Min di lettura

“Hei Israele! L’Occidente ti è debitore, ma la Turchia non è un tuo debitore! Ecco perché parliamo così liberamente, perché non ti dobbiamo nulla! […] Cos’era Gaza, la Palestina nel 1947, cos’è oggi? Israele, com’è che sei arrivato fin qui? Come sei entrato qui? Sei un invasore, sei un’organizzazione! [non sei uno Stato]. Gli abitanti di Gaza sono pronti a difendere la loro patria con i denti, siamo pronti anche noi”. Erdogan nel suo ultimo comizio ha fatto sfoggio di tutto il peggior repertorio antisemita.

È noto da sempre il suo background islamista, antisraeliano e antiebraico, ma queste parole, pronunciate dopo l’orrore del massacro del 7 ottobre da parte di Hamas, lasciano davvero stupefatti, considerando che la Turchia è un Paese della NATO che aspira perfino ad entrare nell’Unione europea.

Erdogan è dunque un sultano che si muove come uno spregiudicato giocatore che fonda la sua politica estera su ricatti di cui il primo destinatario è l’Ue , da quando affidò al presidente turco la missione di trattenere sul suo territorio milioni di profughi siriani ricompensandolo profumatamente con sei miliardi di euro.

Quella dei profughi è un’arma formidabile, che ha indotto gli ultimi esecutivi comunitari ad ingoiare qualsiasi rospo, a partire dall’ultimatum lanciato dopo che le truppe di Ankara erano entrate in Siria: se condannate l’invasione e ostacolerete l’operazione militare, apriremo i rubinetti dei migranti, il senso del messaggio. Una provocazione a cui seguì il comizio infuocato in cui Erdogan incitò alla rivolta contro il cancelliere austriaco Kurz, reo di aver chiuso moschee e centri islamici dopo gli attentati di Vienna.

Ora il sultano si è messo in prima linea anche nella guerra Israele-Hamas, lasciando da parte ogni cautela e definendo i terroristi tagliagole come “liberatori”, con un’escalation di accuse a Netanyahu e ai governi occidentali che lo sostengono, e in questo versante cruciale della storia la sensazione è che Erdogan abbia scelto di cavalcare l’onda del risveglio islamico, sull’onda dell’odio che non ha mai nascosto per Israele, definito più volte come uno Stato razzista.

Erdogan
Il leader della Turchia Erdogan

I precedenti, del resto, parlano per lui: nel 2010 espresse apertamente la volontà di mettersi alla testa, con i Fratelli Musulmani, di un grande movimento di conquista islamista del Medio Oriente, e su quello scacchiere si è sempre mosso con grande spregiudicatezza: nel 2016 decise la prima invasione della Siria, cui seguì l’incursione che mise in fuga 160mila curdi. Poi nel 2019 le milizie di Erdogan attaccarono le forze democratiche siriane sostenute dagli Usa, le stesse milizie usate anche per prendersi un pezzetto di Libia e per appoggiare gli azeri contro gli armeni.

Dovunque c’è un focolaio di crisi, insomma, il sultano ci mette sopra il cappello, certo di non dover pagare mai nessun prezzo, essendo l’unico ad avere in mano due formidabili atout: da una parte i profughi con cui tiene in scacco l’Europa e dall’altra il suo ruolo nella Nato, di cui però è un partner sempre meno affidabile.

Così, il governo di Ankara arrivò perfino a giustificare beffardamente l’intervento militare in Siria contro i curdi con la necessità di difendere i confini dell’Unione europea aggiungendo – con un incredibile ribaltamento della realtà – che chi si opponeva era un fiancheggiatore del terrorismo. Ma il popolo curdo, suo acerrimo nemico, è stato e resta un baluardo nella lotta al terrorismo islamico, e l’invasione del nord-est della Siria rischiò addirittura di rianimare lo Stato islamico in rotta, con il ritorno in libertà di diecimila foreign fighters.

Un paradosso aggravato dall’esplicita minaccia all’Ue di spalancare le porte a milioni di migranti se avesse osato ostacolare quell’irresponsabile operazione militare, e infatti al di là di blande prese di distanza verbali nessuno, a Bruxelles come a Washington, mosse un dito per fermarla.

Erdogan, lo schieramento dalla parte di Hamas

Ora l’attacco di Hamas a Israele è stato per Erdogan l’appiglio giusto per riprendere in mano simbolicamente la spada, e quando c’è da arringare le folle è un autentico maestro, come dimostrò proprio l’anatema contro Kurz: “Fermate quest’uomo, perché le sue azioni possono aprire la porta a una guerra tra la falce di luna e la croce”, una minaccia che riportava all’assedio di Vienna del 1529 e alla successiva battaglia di Lepanto tra Lega Santa e Impero Ottomano.

Erdogan, insomma, riesce sempre a toccare i tasti più sensibili del mondo musulmano, come quando decise di islamizzare l’ex basilica di Santa Sofia, che per più di un millennio era stata uno dei più alti simboli della cristianità. Nel suo disegno espansionistico, mettersi a capo dell’Islam politico, o almeno di una sua parte, è un passaggio obbligato.

Finora il presidente turco era riuscito a giocare su due tavoli: amico dell’Occidente e della Nato e sostenitore della causa palestinese. Un equilibrismo impossibile da reggere dopo il 7 ottobre e dopo che il sultano si è schierato apertamente dalla parte di Hamas.

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