Africa, Piano Mattei l’asso nella manica dell’Occidente contro le crisi globali

Il Piano Mattei è la chiave per aprire le porte del continente africano all’Europa e rilanciare l’economia italiana

Redazione
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L’attenzione dell’Europa – e non solo – è tutta per l’Africa: le luci della ribalta non sono mai state tanto luminose nel Sud del mondo quanto negli ultimi mesi. Con i suoi 30 milioni di chilometri quadrati, infatti, l’Africa è al centro delle riflessioni strategiche dei paesi occidentali, che vi scorgono un elemento ormai cruciale per far fronte alle varie crisi umanitarie, alimentari ed energetiche succedutesi recentemente. Primo fra tutti il governo italiano, che intende ridefinire i rapporti tra Italia e Africa recuperando nelle sue linee programmatiche l’eredità di Enrico Mattei, noto imprenditore e dirigente pubblico nel settore dell’energia del secondo dopoguerra.

La premier Meloni, infatti, conta sugli accordi con gli Stati africani per risollevare l’economia italiana. Gli obiettivi del Piano Mattei? Sicurezza e autonomia energetica, maggior influenza sull’area mediterranea, partenariato e contenimento dei flussi migratori. Ma perché proprio l’Africa?

La premier Giorgia Meloni
Il premier Giorgia Meloni

L’enorme potenziale del continente africano: tra fattori produttivi e demografici

Le ragioni sono molteplici, tutte connesse all’enorme potenziale del territorio africano e alle sue risorse. Ammonta a circa il 60-65%, infatti, la percentuale della superficie arabile non ancora coltivata nel continente. Un dato interessante, specialmente per un periodo storico in cui l’inarrestabile crescita demografica non pare supportata da un adeguato incremento della produzione agricola. La prospettiva di fronteggiare la crisi e accrescere la capacità produttiva del settore agroalimentare europeo, avvalendosi delle risorse agricole presenti in Africa, allora, si fa sempre più allettante agli occhi preoccupati delle potenze occidentali.

Una crisi connessa non soltanto a una sempre minor disponibilità di terreni coltivabili in Europa, ma anche alla probabile riallocazione territoriale della popolazione mondiale che, secondo le stime dell’ente di ricerca Our World in Data, si verificherà nei prossimi anni. In futuro, infatti, 8 persone su 10 vivranno verosimilmente in Africa o in Asia, mentre in Europa si osserverà un anomalo calo demografico, passando dagli attuali 750 milioni di abitanti a 630 milioni entro la fine del secolo, in controtendenza rispetto al resto del mondo. I dati nel lungo periodo, quindi, non sembrano favorire il Vecchio Continente.

Alla scarsità di materia prima e forza lavoro si unisce un peggioramento generalizzato delle condizioni di salute, dovuto principalmente ad un’alimentazione spesso scorretta, composta per lo più di carne lavorata e alimenti ricchi di sale e zuccheri. Non solo garanzia di produzione agroalimentare sufficiente a sostenere la crescita demografica, quindi, ma anche necessità di cibo qualitativamente idoneo a ridurre l’incidenza di obesità e malattie. Questi i fattori determinanti per una crescita globale sostanziale.

Investire in Africa per uno sviluppo economico sostenibile

Investire nello sviluppo sostenibile di un continente come quello africano, allora, può diventare l’occasione per garantire maggiore sicurezza produttiva e alimentare a livello mondiale e contribuire, al contempo, all’incremento degli standard lavorativi e sanitari della popolazione locale.

Recenti, infatti, le parole con cui Antonio Tajani ha descritto gli obiettivi del governo sul tema: “puntiamo a creare più joint venture per trasformare in loco le materie prime grazie al lavoro della popolazione locale”. Numerose, peraltro, le future aree di intervento dichiarate dal Ministro degli Esteri: agro industria, transizione energetica, infrastrutture fisiche e digitali, formazione professionale e cooperazione scientifica e accademica.

Una catena virtuosa, dunque: maggior produttività si traduce in più lavoro, infrastrutture e investimenti per l’Africa. A trarne vantaggio, d’altronde, anche l’Europa, che ci guadagnerebbe in termini di produzione, approvvigionamento e diminuzione delle ondate migratorie. Insomma, una strategia win-win che sembra poter soddisfare tutte le parti in gioco.

Il fattore energetico: l’Africa ospita le migliori energie rinnovabili

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Africa

A risvegliare l’interesse degli Stati europei per il continente attraversato dall’equatore, inoltre, subentra anche il fattore energetico, soprattutto a seguito della guerra in Ucraina, che ha determinato un considerevole rialzo dei prezzi e notevoli problemi di rifornimento del gas e delle materie prime.

La transizione verso l’energia “green”, infatti, è diventata ormai la principale sfida dei paesi occidentali, che puntano allo sviluppo di risorse pulite in grado di ridurre emissioni e inquinamento. In tale contesto, l’Africa è ancora una volta la chiave risolutiva, ospitando il 60% delle migliori energie rinnovabili al mondo, tra cui il solare, l’eolico e il geotermico. Non mancano, inoltre, risorse minerarie e gas naturale, la cui capacità potrebbe raggiungere i 90 miliardi di metri cubi entro la fine del 2030.

È davvero la panacea per tutti i mali dell’epoca moderna?

Insomma, il continente africano sembra quasi racchiudere in sé la panacea per tutti i mali dell’epoca moderna. Ma sarà davvero così? Dopo un lungo periodo di colonialismo predatorio e intese paternalistiche, l’attenzione accordata agli interessi economici degli Stati africani non può che entusiasmare chi riconosce nelle recenti iniziative europee, incluso l’italianissimo Piano Mattei, una concreta occasione di beneficio bilaterale. Per acquietare le voci di chi ci vede, al contrario, una nuova forma di imperialismo camuffato da cooperazione, tuttavia, occorre fare un passo ulteriore e prendere in considerazione anche le criticità, perlomeno quelle più manifeste.

Il pensiero va alle difficoltà climatiche tipiche dell’area subsahariana, tra le zone più colpite dal cambiamento climatico e dalla siccità, ma anche all’avvento nell’industria alimentare della carne sintetica, che assoggetterebbe nuovamente i paesi in via di sviluppo al monopolio delle grandi multinazionali, neutralizzandone di fatto le concrete possibilità di sviluppo. A preoccupare anche la crescente complessità delle relazioni internazionali, dovuta alle tensioni politiche che scorrono sottotraccia tra i vari paesi interessati a investire negli spazi africani, e l’arretratezza di un sistema economico che non ha potuto godere, finora, di quello sviluppo tecnologico e industriale che ha consentito all’Occidente di crescere e arricchirsi.

L’augurio è che l’Italia e l’Europa possano ricompensare la prosperità del territorio africano importandovi la propria abilità d’impresa, le competenze tecnologiche acquisite nel tempo e quel know-how industriale capace di fare la differenza nel multiforme processo di ammodernamento e sviluppo dell’intero continente africano.

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