Pozzallo: il giudice “libera” tre migranti, inizia il boicottaggio alla linea del governo

Beppe Santini
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Il tribunale di Catania, appellandosi al diritto comunitario e all’articolo 10 della Costituzione, non ha convalidato il provvedimento di trattenimento per tre migranti del centro di Pozzallo perché “trattenere chi chiede protezione senza effettuare una valutazione su base individuale e chiedendo una garanzia economica come alternativa alla detenzione è illegittimo. Come è noto, il decreto ministeriale del 14 settembre prevede il trattenimento dei cittadini stranieri provenienti da Paesi cosiddetti sicuri che chiedono protezione internazionale se non presentano personalmente una garanzia finanziaria di 4.938 euro. Ma la magistratura, in tutta evidenza, si è già messa di traverso. Il Viminale ha già annunciato di voler impugnare il provvedimento, e la fondatezza dei richiami giuridici richiamati sarà quindi sottoposta al vaglio di un altro giudice. Il fatto è che a soli cinque giorni dell’inaugurazione del nuovo centro di Modica-Pozzallo per l’esame rapido delle domande d’asilo, i primi ospiti sono già fuori. Secondo il tribunale di Catania il decreto è illegittimo in più parti: si tratta di un primo pronunciamento che rischia di vanificare sia il decreto Cutro che le successive disposizioni governative sulla gestione delle domande d’asilo.

Nulla di nuovo sotto il sole: basti ricordare la scarcerazione della capitana della Sea Watch, Carola Rackete, da parte del gip di Agrigento e la sua successiva assoluzione perché speronare volontariamente un’imbarcazione della Guardia di Finanza non costituisce reato. Sono più di venti anni – dai tempi della legge Turco-Napolitano che l’Italia è alle prese con una questione cruciale per i tempi che stiamo vivendo: la gestione dei flussi migratori spetta ai governi, e quindi alla politica, o alla magistratura? La risposta dovrebbe essere scontata, ma da noi non lo è affatto, e lo dimostra la sorte della legge Bossi-Fini, che fu totalmente boicottata dai magistrati di mezza Italia che intasarono di ricorsi la Corte Costituzionale bloccando di fatto le espulsioni. Qualche anno fa il procuratore di Agrigento rivendicò che a dodicimila iscrizioni nel registro degli indagati per il reato di clandestinità – sulla cui reale efficacia si può discutere, ma che era previsto da una legge democraticamente approvata – erano seguite altrettante richieste di archiviazione. Ora, si può disquisire all’infinito sui pesi e contrappesi necessari per tenere una democrazia liberale in equilibrio, ma che una parte della magistratura italiana si sia distinta per marcare la sua distanza “politica” dai governi di centrodestra è un fatto, non un’opinione. Fino a sconfinare nell’assurdo, come quella sentenza della Cassazione secondo cui un extracomunitario espulso dall’Italia può rientrare impunemente, basta che sposi una cittadina italiana, e questo è possibile anche nel caso in cui sia stato segnalato come “indesiderabile” nei Paesi dell’Unione europea. In nome del diritto al ricongiungimento familiare la Cassazione, dunque, di fatto indebolì gli stessi sistemi di controllo degli ingressi nell’area Schengen. Così vanno le cose, visto che l’autonomia dell’ordine giudiziario è un fondamento costituzionale, ma il problema è che nessun magistrato ha mai pagato per i suoi errori.

Ora la decisione del tribunale di Catania aprirà sicuramente il vaso di Pandora dei ricorsi rispolverando un copione già visto: magistrati in campo per boicottare il governo nella lotta all’immigrazione irregolare. Questa è la giustizia italiana.

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