Appunti per Forza Italia: da Paestum parte la sfida del dopo Berlusconi

Quella che Forza Italia affronta a partire da Paestum, celebrando il primo compleanno di Silvio Berlusconi senza di lui, è una sfida oggettivamente complicata

Beppe Santini
13 Min di lettura

Quella che Forza Italia affronta a partire da Paestum, celebrando il primo compleanno di Silvio Berlusconi senza di lui, è una sfida oggettivamente complicata, perché mai partito è stato più legato al suo fondatore. Ma che Forza Italia sia un partito ancora cruciale per la governabilità del Paese è un fatto dimostrato dal primo anno dell’esperienza Meloni. Per essere chiaro: in Italia un partito autenticamente liberale c’è, ed è molto più credibile dei cespugli con aspirazioni neo-liberali spuntati come funghi nel centrosinistra. Paestum è l’occasione per fare un bilancio di trent’anni di berlusconismo e per mettere a frutto la sua eredità per il futuro. La rivoluzione liberale è rimasta incompiuta a causa di errori anche evitabili, ma soprattutto delle resistenze dei vecchi apparati di potere, delle corporazioni e anche degli alleati, ma Forza Italia è stata il motore del cambiamento, un partito liberale di massa fondato per colmare il divario fra i tempi della politica e quelli di una moderna società industriale. Sono due, essenzialmente, i suoi meriti storici: l’aver impedito che la sinistra prendesse il potere sull’onda della rivoluzione giudiziaria, e aver mantenuto l’unità nazionale in una drammatica contingenza politica. Nel ’94 infatti Berlusconi si trovò a svolgere il ruolo di argine fra la protesta del nord produttivo da una parte e il sistema dei partiti e della spesa pubblica dall’altra. L’implosione della Prima Repubblica, l’interventismo della magistratura e la frattura fra il Nord e il resto del Paese costituivano una miscela potenzialmente esplosiva, in grado di minare la stessa unità nazionale. Fu la nascita di Forza Italia, e conseguentemente del centrodestra, a mettere insieme il Msi post fascista e la Lega secessionista e a inserirli di diritto nel circuito democratico, a scongiurare il peggio. Forza Italia è stata dunque un grande partito popolare interclassista capace di assolvere una funzione nazionale, perché conteneva in sé fin dalla nascita un germe unitario, la vocazione a trasformarsi nel partito di tutti i moderati italiani, liberali e riformisti, laici e credenti. Una missione tutt’altro che esaurita, nonostante la progressiva perdita di consensi.

Non solo: Forza Italia è stata anche protagonista di una riforma non scritta che ha favorito per quattro legislature un sistema compiutamente bipolare, fondato sul principio comune a tutte le democrazie europee per cui il popolo sceglie non soltanto il Parlamento, ma anche e soprattutto il governo. Sarebbe stata una conquista storica, ma la modernizzazione di un sistema politico passa inevitabilmente da una tregua istituzionale che la sinistra non ha mai davvero concesso, restando schiava dei suoi retaggi ideologici.

I governi Berlusconi hanno avviato molte riforme di stampo liberale: l’Italia di Berlusconi è stata l’Italia della legge Biagi – una riforma del lavoro poi ripresa in tutta Europa – delle pensioni minime alzate, di un welfare distinto dall’assistenzialismo clientelare, dell’Alta velocità, della Legge obiettivo, dello straordinario intervento dopo il terremoto de L’Aquila, della riforma del Codice della strada, del divieto di fumo nei locali pubblici. E’ stata anche l’Italia protagonista dello storico Trattato di Pratica di Mare.

Liquidare tutto questo come un mero incidente della politica e della storia, come qualcuno ha tentato di fare, è dunque profondamente riduttivo: la rinascita liberale non può che partire da Forza Italia, che ora ha il dovere di riaffermare un grande manifesto liberale che rappresenta il suo passato, il suo presente e il suo futuro. E’ infatti tutt’altro che finita la grande battaglia tra le ragioni del cambiamento e quelle della conservazione, tra la necessità di modernizzare l´Italia nelle sue strutture politiche, istituzionali ed economiche e le resistenze di tutte quelle forze responsabili dell’immobilismo politico.

Quando nacque Forza Italia, il Paese era reduce da uno tsunami, quello giudiziario, e c’era da ricostruire la fiducia tra cittadini e istituzioni. Oggi come allora resta il baricentro delle riforme necessarie: lo è per la sua cultura politica liberale e riformista, per il suo saldo ancoraggio all’Europa, per l’esperienza della sua classe dirigente.

L’europeismo

Nei rapporti con l’Europa non ci sono ambiguità: l’Unione è stata un indubbio elemento di stabilità, ma ora deve diventare anche uno strumento di ricchezza sociale, contemperando i sovranismi nazionali e il sovranismo comunitario. Il Covid ha prodotto una prima riforma epocale: la condivisione del debito, che potrà diventare strutturale visto il successo dei bond del Recovery Fund, ma serve un altro grande salto di qualità. La cessione di sovranità all’Europa è un fatto compiuto, previsto anche dalla Costituzione, ma sarà ineludibile cederla solo a istituzioni democratiche, per portare a compimento l’idea originaria dei Padri fondatori. E per non ripetere gli errori dell’epoca del rigore a senso unico. I drammi di questo nuovo secolo (terrorismo, bolla immobiliare, globalizzazione delle crisi, immigrazione, guerra dei dazi, pandemia, guerra in Ucraina) hanno acuito il disagio e causato una crisi di rigetto del ceto medio italiano ed europeo che ha visto radere al suolo il suo ruolo di classe-cerniera e mettere a rischio risparmi e futuro. E il fiscal compact è stato la pistola fumante di una politica sbagliata. Certo, è difficile difendere l’Europa del relativismo che ha perfino strappato dalla sua Costituzione le storiche radici giudaico-cristiane. Ma non si possono dimenticare le dure lezioni della storia, le guerre e il sangue. E la pace nella libertà che ci ha garantito questa rivoluzionaria idea di Europa imperfetta. Forza Italia ha sempre lottato per un’Europa più forte e insieme meno pervasiva. In grado di prendere decisioni su temi fondanti come la politica estera, capace di esprimere una difesa comune e di non lasciare l’Italia sola con il dramma dei migranti. Il futuro deve essere quello di un’Europa che si faccia carico dei barconi di Lampedusa e sia meno assillante quando si tratta di stabilire il diametro o il peso dei cetrioli. Un’Europa forte ma leggera.

Il riformismo

Bisogna cambiare la Costituzione nella seconda parte per dare stabilità ai governi; riformare la giustizia e il Csm, dopo il caso Palamara è diventato più che un’esigenza, un’emergenza; rafforzare l’economia con meno assistenza, meno sussidi, meno tasse e più libertà, ma anche più responsabilità per l’impresa; essere protagonisti in Europa. Serve, e non è più rinviabile, quel processo di modernizzazione che da anni i cittadini attendono. Fisco, burocrazia, pubblica amministrazione, infrastrutture materiali e immateriali, giustizia. La riforma della giustizia e quella fiscale sono da sempre nel dna di Forza Italia. Antonio Martino aveva ideato già nel ’94 la “Flat Tax”, una proposta che rappresenterebbe una svolta storica nel nostro sistema fiscale, perché così com’è oggi il fisco italiano sottrae agli italiani più della metà dei frutti della loro fatica.

Forza Italia ha sempre considerato il governo del Paese non un fine da perseguire, ma un mezzo per rispondere concretamente alle esigenze dei cittadini. Ha espresso dure critiche alle politiche assistenziali del governo giallorosso, ai sussidi erogati senza una strategia, alle assunzioni clientelari e al ritorno di uno statalismo pervasivo. La bussola, da forza autenticamente liberale, è sempre stata il sostegno al mondo produttivo. La priorità assoluta deve quindi essere la tutela dei non garantiti e del ceto medio impoverito che era in sofferenza già prima che esplodesse la crisi pandemica. Bisogna snellire la burocrazia, e questo obiettivo si ottiene non solo con la semplificazione normativa, ma anche modernizzando la pubblica amministrazione, valorizzandone le risorse migliori senza appesantirla ulteriormente e riaffermando il primato del merito. Questo vale soprattutto per il Mezzogiorno, il cui sviluppo va perseguito favorendo l’imprenditoria giovanile e le start-up: lo sviluppo si crea solo se si superano le vecchie logiche delle assunzioni a pioggia. Questa è la vera missione di Forza Italia anche in questo governo, in linea con i suoi valori fondanti.

L’antistatalismo

Il gigantismo dell’apparato statale genera inevitabilmente leggi, norme, regolamenti, tasse, tariffe, con un impatto negativo sulla vita dei cittadini. Insomma, viviamo in uno Stato in cui l’iniziativa privata (e la cultura liberale che la sottende) è soggetta a una moltitudine di vincoli, di regole – spesso astruse e incomprensibili – e di gabelle che scoraggiano non solo gli investitori stranieri, ma anche e soprattutto i cittadini e le imprese desiderosi di creare ricchezza, precondizione indispensabile per la crescita. Quelli che generano il nostro Prodotto Interno Lordo, quelli che offrono opportunità di lavoro, quelli che pagano le tasse, quelli che risparmiano e, con i loro risparmi, acquistano i titoli di Stato che consentono di tenere in vita il nostro spropositato Debito Pubblico. I governi Berlusconi hanno avviato una concreta stagione di riforme, agendo sulla semplificazione dello Stato e delle sue regole, cercando di minimizzare l’ingerenza dell’apparato pubblico, avviando una drastica semplificazione del sistema impositivo, nonostante le oggettive difficoltà degli esecutivi, nel sistema politico italiano, ad attuare concretamente i programmi presentati in campagna elettorale e a rispettare, quindi, i patti sottoscritti davanti agli elettori

Il garantismo

Quanto sia stato pericoloso il vuoto determinato dalla falsa rivoluzione di Mani Pulite gli italiani hanno potuto constatarlo negli anni successivi, segnati da invasioni di campo e avventurose supplenze che hanno portato le istituzioni in uno stato di perenne fibrillazione, con la politica commissariata da una parte della magistratura e da un forte apparato mediatico-finanziario, extrapolitico ed extraistituzionale, che ha cercato di imporre all’Italia il suo volere ritenuto preminente sulla volontà popolare. Di motivi per fare la riforma della giustizia ce ne sono mille: Forza Italia, che ha vissuto sulla pelle del suo Presidente una persecuzione giudiziaria senza precedenti, ha sempre mantenuto una rotta garantista. Il garantismo non è un’opzione politica: è un precetto costituzionale: serve dunque una riforma in grado di rafforzare il ruolo del giudice terzo di fronte allo strapotere del pubblico ministero, che deve tornare a rappresentare nel processo la parte accusatoria, e non a essere visto come il rappresentante della legge davanti al quale la difesa fa la parte del sabotatore dell’ordine costituito. Troppe volte dietro il paravento dell’obbligatorietà dell’azione penale si è celata la più grande discrezionalità, che è una pericolosissima strada per realizzare la disuguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Nessuna democrazia può sopportare che la sovranità venga trasferita dal popolo ai pubblici ministeri.
Queste sono le missioni che Forza Italia ha il dovere di portare avanti, e la convention di Paestum sarà l’occasione per tracciare la rotta giusta.

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