Ricordate la scomposta reazione della Francia per aver dovuto aprire il porto di Marsiglia a una nave delle Ong? Quella reazione fu in linea con la pretesa europea che i migranti debbano sbarcare tutti in Italia, e Parigi allora mise sul tavolo addirittura l’invito ai Paesi partecipanti al meccanismo di ricollocamento europeo a sospendere l’accoglienza dei profughi arrivati in Italia.
Quel meccanismo, in realtà, non ha mai davvero funzionato, e dovrebbe semmai essere l’Italia a protestare. Ma lo scontro politico con Parigi sulla destinazione della Ocean Viking fu solo l’ennesimo capitolo di una questione, quella dei migranti, destinata a restare a lungo nell’agenda del governo italiano, che – inutile negarlo – ha dovuto rimangiarsi la politica della “difesa dei confini e della legalità”.
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Migranti, Italia stretta tra due fuochi: mancata solidarietà e opposizione non collaborativa
L’Italia, come dimostra plasticamente l’ultima ondata di arrivi, si trova stretta tra due fuochi: la mancata solidarietà europea nella redistribuzione e un’opposizione non collaborativa spalleggiata da alcuni corpi intermedi come la magistratura sempre pronta a legittimare le forzature delle Ong. Non sarà affatto facile, insomma, segnare una vera discontinuità rispetto all’accoglienza indiscriminata dei precedenti governi, perché finché le condizioni del mare non diventeranno proibitive gli sbarchi autonomi proseguiranno – l’ospitalità nelll’hot spot di Lampedusa ha raggiunto livelli disumani, – e arginare l’attivismo delle Ong costituirà solo una piccola parte del problema, visto che gli scafisti, approfittando della prolungata bella stagione, hanno abbassato le tariffe munendosi di centinaia di barchini.
La partita passa dunque, inevitabilmente, da una trattativa con l’Unione europea che non si risolva nell’ennesimo fallimento: il governo Meloni ha fatto la scelta giusta lanciando subito un triplice, inequivocabile messaggio all’Europa, alle Ong e ai trafficanti di esseri umani, ma ora va preso atto che neppure la robusta azione diplomatica messa in atto dalla premier è riuscita a modificare una situazione emergenziale diventata a tutti gli effetti insostenibile.
Migranti: miraggio relocation e blocco delle frontiere
A sinistra, solo l’ex ministro Minniti ha avuto il coraggio di dire che “non possiamo consegnare le chiavi delle nostre democrazie agli scafisti criminali“, suggerendo di prevedere flussi consistenti di immigrazione legale gestiti dalle reti consolari in cambio dell’impegno dei Paesi di origine di riprendersi i migranti illegali. Ma anche questa è una strada impervia, viste le condizioni (politiche, climatiche e di rispetto dei diritti umani) di Paesi come la Libia, la Tunisia e ora anche il Marocco, oltre che quelle esplosive della fascia del Sahel. Mentre la relocation in Europa, che è sempre stata un miraggio, è ormai un’equazione impossibile dopo il blocco delle frontiere di Francia e Germania, che almeno a parole erano stati finora i Paesi più collaborativi.
C’è voluto il pronunciamento dell’imam più illuminato di Francia, Hassen Chalgohumi, a dare la sveglia sul fatto che “senza impegno, senza investimenti e senza una discesa in campo dell’Europa, l’emorragia di migranti non si fermerà”. Ed è chiaro a tutti che la strategia più efficace sarebbe la gestione dei rimpatri (ad oggi fallimentare) direttamente dall’Ue, ma al momento gli accordi di riammissione e rimpatrio sottoscritti con i Paesi terzi non hanno prodotto grandi risultati. Il Migration Pact presentato dall’attuale Commissione contiene indubbiamente alcune novità interessanti, puntando sul controllo dei flussi migratori e sull’accelerazione delle procedure di rimpatrio. La mancata solidarietà nella redistribuzione dovrebbe essere quindi compensata dalla sponsorship sui rimpatri, con la facoltà per chi rifiuta la sua quota di migranti di pagare e farsi carico della procedura di rimpatrio. Un disincentivo all’accoglienza, insomma, ma anche un possibile supporto ai Paesi di primo approdo, ma quel patto è ancora in alto mare ed è destinato a restarci nell’imminenza delle elezioni europee.
Migranti, controllo delle partenze e canali legali di ingresso
Dunque, una prima soluzione sarebbe attuare un ferreo controllo delle partenze, il ripristino dei canali legali di ingresso e un meccanismo di rimpatri che non sia interamente a carico dei Paesi di primo ingresso. Obiettivi complicati da raggiungere, ma le vicende di questi giorni insegnano che non esistono facili scappatoie nella gestione di un fenomeno strutturale come l’immigrazione dall’Africa.
E’ l’ora insomma di mettere l’Ue di fronte alle sue contraddizioni: è la Commissione, infatti, a chiedere di irrigidire lo screening dei migranti irregolari e di rafforzare i meccanismi per il loro rimpatrio, salvo poi usare due pesi e due misure sulle presunte inadempienze dell’Italia e chiudere entrambi gli occhi su chi invece boicotta sistematicamente il sistema comune di asilo.
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