Il Pd ormai è una polveriera: alla vigilia della chiusura della Festa dell’Unità di Ravenna, Elly Schlein deve fare i conti con la clamorosa “fuga” dal partito di trentuno dirigenti liguri, tra cui un consigliere regionale e la consigliera comunale di Genova più votata, un addio che l’inner circle della segretaria ha liquidato con un’alzata di spalle ma che ha messo in allarme la minoranza riformista che aspetta sulla riva del fiume l’esito delle europee per dar fuoco alle polveri.
E anche sul fronte del consenso elettorale ai piani alti del Nazareno non arrivano buone notizie, visto che l’ultimo sondaggio di Pagnoncelli pubblicato dal Corriere della Sera vede il Pd sotto la quota psicologica del 20 per cento, a dimostrazione che la linea radical-massimalista non rende. All’inizio del nuovo corso, a febbraio, l’ambizione schleiniana era di portare il partito sopra il 30%, ma la realtà ha la testa dura, e di questo passo sarà difficile perfino andare sopra il deludente risultato delle ultime politiche.
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Non a caso Bonaccini, in un’intervista al Domani, è uscito allo scoperto dicendo che “è essenziale che il partito recuperi rapidamente la propria vocazione maggioritaria, con una implicita e durissima critica a una segreteria impegnata solo in battaglie minoritarie come l’utero in affitto. Secondo il governatore emiliano, insomma, c’è bisogno di un Pd più grande ed espansivo che punti a tornare al governo, non di un partito più piccolo e radicale”. E anche sulle critiche al governo per la stretta securitaria del decreto Caivano, alcuni dirigenti – come il figlio del governatore campano De Luca – hanno preso le distanze, perché per sconfiggere degrado e violenza minorile serve in tutta evidenza non solo la prevenzione sociale, ma anche il pugno duro del codice penale.
Un’autentica polveriera, insomma, che era stata ampiamente prevista nel ritratto che Bisignani e Madron hanno tratteggiato ne “I potenti al tempo di Giorgia”: “Elly Schlein è innamorata delle piazze e del metaverso, ma allergica alle litanie di partito, e i compagni che l’hanno voluta sono terrorizzati dall’idea che li faccia fuori tutti… E poi la segretaria ha impiegato più tempo lei per strutturare il partito che Giorgia per fare il governo”.
Nei primi mesi di mandato la segretaria ha mostrato un piglio decisionista pari alla disinvoltura con cui ha incassato le ripetute sconfitte elettorali, una dietro l’altra, senza mai fare una minima autocritica e senza ascoltare nessuno. All’inizio, almeno, i sondaggi la confortavano, fotografando un balzo del partito di 3-4 punti, ma ora anche le rivelazioni demoscopiche si stanno allineando ai dati reali: l’effetto Schlein insomma se c’è stato è già finito.
Lei però insiste nel ribadire che nella cabina di comando ci sta e intende rimanerci (“mettetevi comodi”), dimenticando il peccato originale di essere stata scelta dai gazebo e non dal partito-apparato, quello dei circoli e degli iscritti, che le preferirono Bonaccini.
Di errori marchiani la segretaria ne ha già commessi parecchi, basti pensare alla sua presenza nella piazza grillina dove l’Elevato fece l’incredibile sparata sulle “Brigate col passamontagna”. E anche l’estate militante, annunciata per dare una scossa al partito, si è rivelata un flop: se doveva essere un’operazione mediatica per il rilancio del Pd, insomma, è decisamente fallita, anche perché impostata su parole d’ordine che odorano d’antico come le pastasciutte delle feste dell’Unità.
I problemi veri arriveranno ora, e saranno tutti interni in vista delle elezioni europee. Sul web compare ancora l’intemerata del governatore De Luca che definisce “atto di delinquenza politica” il commissariamento del Pd in Campania, e questa è solo l’avvisaglia della tempesta in arrivo, complice l’ostinazione della segretaria a non aprire al terzo mandato, per cui una pletora di sindaci e governatori eccellenti stanno per bussare alla porta del Nazareno per una candidatura nel 2024.
Ma le alternative che si presentano rischiano di trasformarsi tutte in una partita alla meno: avendo ipotizzato la segretaria di presentarsi come capolista in tutte le circoscrizioni, avere in lista personaggi così ingombranti, oltre che campioni di preferenze, la relegherebbe quasi certamente al secondo posto nella classifica degli eletti, con un colpo devastante all’armocromia della sua immagine.
Ma rimangiarsi il no al terzo mandato sarebbe ugualmente un segnale di debolezza, e anche la terza via (no ai cacicchi in lista e no alle ricandidature in Regione, per dimostrare chi comanda davvero) sarebbe piena di insidie: si tratterebbe certo di una soluzione gradita al nuovo gruppo dirigente, ma con l’esito probabile di un doppio flop sia alle europee che alle regionali del 2025. Una polveriera, appunto.
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