Spagna, il nuovo governo è un rebus ma le elezioni non le ha vinte il Pd…

Per commentare l’esito del voto in Spagna bisognerebbe partire da un dato inequivocabile: la coalizione di governo uscente guidata dal premier socialista Sanchez

Beppe Santini
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Per commentare l’esito del voto in Spagna bisognerebbe partire da un dato inequivocabile: la coalizione di governo uscente guidata dal premier socialista Sanchez non ha più i numeri per governare e il Psoe, pur guadagnando due seggi, è stato ampiamente scavalcato dai Popolari, divenuti partito di maggioranza relativa migliorando del 50 per cento il risultato del 2019, passando da 89 a 136 deputati. L’avanzata del centrodestra è stata frenata dal crollo di Vox, e formare un nuovo governo al momento sembra un’equazione impossibile: il Psoe negozierà “con discrezione” la reinvestitura di Sanchez, ma ha già detto no alla richiesta dei catalani – i cui voti sono indispensabili per una maggioranza di sinistra – di indire un nuovo referendum sull’indipendenza della Catalogna e di concedere un’amnistia ai dirigenti di Junts condannati dalla Corte suprema. Insomma: più che una strada in salita, l’alleanza con i catalani assomiglia più a un vicolo cieco, anche perché l’alleanza radicale formata sulle spoglie di Podemos e guidata da Yolanda Diaz è rimasta al di sotto delle previsioni.

Dunque, risolvere la crisi sarà un autentico rompicapo, perché anche il candidato popolare Feijoo non pare in grado di assicurarsi una maggioranza in Parlamento. Non è da escludere dunque un ritorno al voto entro fine anno, ma intanto il voto spagnolo ha confermato la tendenza – come già successo in Italia e in Grecia – di premiare il fronte moderato alternativo alla sinistra. Il vento dunque non è cambiato, anche se leggendo diversi commenti sui quotidiani di oggi si ha l’impressione che le elezioni spagnole le abbia perse Giorgia Meloni e le abbia vinte il Pd. Il quale, fiaccato dalle ripetute sconfitte in patria, cerca di consolarsi con le vittorie altrui, anche quando – come in questo caso – i compagni spagnoli hanno raggiunto al massimo un pareggio risicato.

La “lezione spagnola”, com’è stata definita da qualcuno, avrebbe posto una pietra tombale sul progetto di un’alleanza tra popolari e conservatori per archiviare la maggioranza Ursula ed escludere la sinistra dalla guida dell’Ue dopo le prossime elezioni europee. Ma trarre dal voto di domenica conclusioni affrettate su quanto accadrà in Europa da oggi al giugno 2024 pare una profezia che è difficile si autoavveri. Perché il quadro è in movimento in molti Paesi, e le dinamiche cambiano a seconda delle varie situazioni nazionali: se in Spagna i populisti di Vox hanno ceduto consensi al centrismo popolare, infatti, in Germania i sondaggi danno invece in crescita esponenziale l’estrema destra di Adf, e in Olanda il neonato Movimento contadino potrebbe diventare l’ago della bilancia nel voto politico anticipato di fine anno. Non solo: si voterà anche in Polonia, dove la sinistra è già considerata fuori gioco, e probabilmente si dovrà rivotare Spagna, dove il ridimensionamento di Vox potrebbe consolidare l’onda di consenso che domenica ha premiato il Partito Popolare. Dunque, è troppo superficiale avventurarsi in pronostici su progetti di medio-lungo periodo, sapendo per esperienza che di questi tempi un anno in politica è una sorta di era geologica.

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