Rischi e contraddizioni della santa alleanza per il salario minimo

Salario minimo è sicuramente un ottimo slogan, ma nella sua applicazione pratica rischia di essere un boomerang per molti lavoratori

Beppe Santini
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E’ nata la santa alleanza sul salario minimo legale, che unisce tutte le sinistre da Conte a Calenda passando per Schlein e Fratoianni, dalla quale Renzi ha preferito star fuori, anche se Italia Viva, pur con qualche differenza, non è pregiudizialmente contraria. Ora, la lotta ai salari da fame mangiati dall’inflazione è sacrosanta e non può che trovare consensi trasversali, ma definito l’obiettivo è doveroso ragionare su quali sono gli strumenti più idonei per conseguirlo, senza approcci ideologici.

Quindi bisogna giocare a carte scoperte, e in questo senso partire dal concetto che tagliare il cuneo fiscale e rafforzare le buste paga è inutile, significa mistificare la realtà. Salario minimo è sicuramente un ottimo slogan, ma nella sua applicazione pratica rischia di essere un boomerang per molti lavoratori, perché in un contesto come quello italiano, caratterizzato da un’elevata copertura dalla contrattazione collettiva e da un elevato tasso di lavoro irregolare, c’è il rischio che possa diventare non un parametro aggiuntivo delle tutele garantite, ma un parametro unico, e nel nostro sistema un parametro di questo tipo potrebbe davvero creare, per molti lavoratori, condizioni peggiori di quelle attuali.

Non solo: la proposta di salario minimo, che viene presentata come una soluzione miracolosa, trascura anche gli effetti negativi su alcune categorie, che vedrebbero diminuire la domanda nel loro settore occupazionale e dunque aumentare il rischio di disoccupazione.
Sarebbe molto più efficace, insomma, estendere la contrattazione collettiva anche nei settori nei quali oggi non è prevista e tagliare le tasse sul lavoro – come il governo ha iniziato a fare – visto che il motivo per cui i salari sono inadeguati è che la tassazione è troppo alta per le imprese che devono assumere.

Anche perché c’è un altro falso argomento a cui ricorrono i fautori del salario minimo: il fatto che ce lo chiederebbe l’Europa. Le indicazioni comunitarie, infatti, non sono dirette a Paesi come il nostro in cui il sistema contrattuale copre oltre il 90% dei comparti lavorativi. Per cui una disposizione legislativa finirebbe solo per danneggiare la contrattazione collettiva e indebolirebbe le relazioni industriali, spingendo peraltro una parte delle piccole imprese a recedere dai contratti nazionali e ad applicare un salario minimo più basso di quello fissato dagli accordi. Sarebbe il colmo.

Non è certo un caso se sia Confindustria che sindacati sono concordi sul no al salario minimo per legge, preferendo il rafforzamento della contrattazione nazionale: chi chiede salari più elevati a prescindere dalla produttività ritiene evidentemente che il salario sia una variabile indipendente, ma non è così: la vera questione è diminuire il costo del lavoro per le aziende, ed è la produttività l’unica vera leva per aumentare i salari.

Concludendo: la lotta alle basse paghe si fa prima di tutto definendo dando validità erga omnes ai contratti sottoscritti dai sindacati più rappresentativi alzandone i criteri di rappresentanza minima e contrastando così i contratti pirata, aumentando in modo esponenziale i livelli di vigilanza contro il proliferare delle truffe salariali e contributive. Non certo facendo pagare ai contribuenti gli aumenti salariali fissati per legge, come prevede il disegno di legge delle sinistre unite sul salario minimo, che istituisce un fondo pubblico volto a erogare trasferimenti di sostegno alle imprese perché alzino i salari. Meglio dunque lasciar fare alla libera contrattazione, tagliare il, più possibile il cuneo fiscale e agire sulla leva della crescita e della produttività.

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