Omicidio di Velletri, Federico e le responsabilità dello Stato italiano

Federico Brunetti, l’autore dell’omicidio avvenuto nel carcere di Velletri non doveva trovarsi lì. A pronunciarsi sul caso è stata la stessa CEDU, dopo che è stato ignorato il giudice italiano sul trasferimento in una ATSM

Lucrezia Caminiti
9 Min di lettura

Federico Brunetti, detenuto affetto da gravi problemi psichiatrici, ha ucciso il suo compagno di cella Marcos Schinco il 19 giugno nel carcere di Velletri. Il ragazzo, di soli 26 anni, non avrebbe dovuto trovarsi lì, in una cella comune, con un detenuto comune. “La tragedia era annunciata” ha dichiarato Maurizio Somma, Segretario nazionale per il Lazio del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il giorno dell’accaduto. Ma Federico Brunetti era detenuto senza le particolari misure che le sue condizioni psicopatologiche avrebbero richiesto già dal 7 aprile 2021, giorno in cui il ragazzo è finito nel vortice del sistema delle carceri italiane. Ripercorriamo la storia dall’inizio.

La morte del fratello

Tutto ha inizio con la morte del fratello, Simone Brunetti, avvenuta all’alba del 17 luglio 2017 all’ospedale Policlinico Umberto I di Roma. Un poliziotto non in servizio aveva ferito il giovane durante un tentativo di rapina sventato la mattina del 14 giugno 2017, nella località di Colle Fiorito di Guidonia. “Ha iniziato a star male da quando il fratello è stato ucciso” ha dichiarato il padre, Marco Brunetti, parlando di Federico in un’intervista a Roma Today rilasciata il 15 novembre del 2021.

Molto prima dell’omicidio a Velletri: il primo arresto di Federico

Il primo arresto di Federico Brunetti risale precisamente al 7 aprile 2021. Le accuse mosse contro di lui erano: attentato alla sicurezza dei trasporti pubblici, violenza, resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato dei beni dello stato ed interruzione di pubblico servizio. Brunetti aveva bloccato la corsa della metropolitana usando un estintore.

Regina Coeli, Ospedale Pertini e REMS

Prima al Carcere Regina Coeli e poi all’Ospedale Pertini. Il ragazzo, con una diagnosi psicotica e una dipendenza da cocaina, già all’epoca era stato giudicato incompatibile con il sistema carcerario. Il giudice aveva disposto l’ampliamento della ricerca di una REMS, Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non solo nel sistema sanitario regionale, ma in tutta Italia. Ma nulla di fatto. Sul caso è intervenuta l’allora Garante dei detenuti di Roma, oggi non più in servizio, Gabriella Stramaccioni: “L’ho incontrato a Regina Coeli tre anni fa. Ricordo fosse in attesa, insieme ad altri dieci ragazzi, di andare in una REMS. Dopo diverse sollecitazioni, visto che c’era abbastanza allerta per la situazione di Federico, è stato portato nella struttura apposita a Rieti. Uscito da lì so che è tornato a casa, dopo ha compiuto altri reati. I servizio probabilmente non l’hanno seguito in maniera adeguata. Dopo mi risulta che Federico sia tornato in carcere, prima a Civitavecchia e poi a Velletri. Ricordo che lui andava spesso in escandescenza e non riusciva a contenersi. Già tre anni fa era una persona pericolosa per sé e per gli altri”, ha spiegato Stramaccioni.

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Carcere di Regina Coeli, Roma

Il primo procedimento CEDU

Da qui, per fare ulteriore chiarezza sulla storia di Federico, abbiamo contattato l’avvocato Valentina Cafaro e scoperto che quella del ventiseienne non è una storia solo italiana. Il caso, infatti è stato trattato dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo.

L’avvocato assiste Federico Brunetti nei procedimenti dinanzi alla CEDU sin dal 2022. Egli ha infatti una condizione psicopatologica piuttosto seria, che esiste da lungo tempo. “Mi sono occupata e mi occupo di questioni attinenti al trattamento da parte delle istituzioni italiane degli autori di reato portatori di psicopatologie” ha iniziato a spiegare l’avvocato.

“Ho iniziato a seguire il caso da quando c’è stata, l’anno scorso, la mancata esecuzione di un precedente provvedimento applicativo della REMS. Ci siamo rivolti alla Corte nel marzo del 2022 per lamentare l’accaduto. Abbiamo presentato un ricorso e in seguito si è aperto un procedimento che è attualmente pendente. Il procedimento è finalizzato ad accertare se vi sia stata o meno una violazione della convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nel frattempo, in ragione dell’assenza di posti disponibili presso strutture idonee, è stato detenuto illegittimamente prima in carcere e poi per diversi mesi presso l’SPDC – Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di un ospedale romano”.

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Ospedale Sandro Pertini, Roma

Il secondo arresto di Federico Brunetti

Ad ogni modo, dopo il carcere, l’Ospedale Pertini, il ricorso alla CEDU nel marzo 2022 e poi la REMS di Rieti Federico torna a casa. Subito dopo, però, ha commesso altri illeciti che l’hanno trascinato nuovamente prima nel carcere di Civitavecchia e poi in quello di Velletri. Stessa storia, ma questa volta con esito sensibilmente diverso.

Prima dell’omicidio di Velletri il Gip ha richiesto il trasferimento di Federico da un carcere ordinario a una ATSM

A gennaio di quest’anno, un altro provvedimento dell’autorità giudiziaria ha dichiarato nuovamente incompatibile Brunetti con la detenzione in carcere. Secondo i giudici il ragazzo doveva essere spostato immediatamente dal carcere ordinario in una ATSM, Articolazione per la Tutela della Salute Mentale, una sezione carceraria dedicata alla salute mentale a prevalente gestione sanitaria. Anche questo provvedimento, come il precedente, è rimasto tuttavia ineseguito per carenza di posti.

Nello specifico, precisa l’avvocato Cafaro: “Nel gennaio del 2023, il Gip presso il Tribunale di Roma, su parere degli psichiatri del carcere dove Federico era detenuto, aveva disposto il trasferimento del ragazzo in un’articolazione per la tutela della salute mentale. Tuttavia, nonostante i solleciti presentati dal difensore di fiducia del ventiseienne, il provvedimento è rimasto ineseguito per l’assenza di posti disponibili nelle ATSM. Nel mentre, Federico, è stato continuamente trasferito da un istituto penitenziario all’altro per ragioni di ordine e sicurezza. Gli psichiatri, che lo hanno monitorato nel tempo, hanno registrato un progressivo e netto deterioramento delle condizioni psicofisiche del detenuto, il quale si è reso autore di gravissime condotte anticonservative, etero-aggressive e violente”.

Prima dell’omicidio di Velletri la sentenza della CEDU su Federico

Ma nulla da fare. A questo punto, la squadra degli avvocati dello studio Saccucci&Partners si è rivolta nuovamente alla CEDU: “Ci siamo rivolti di nuovo alla Corte europea rappresentando la situazione e comunicando l’alto rischio che Federico rappresentava sia per sé stesso che per gli altri. Il 20 giugno la CEDU ha emesso un provvedimento con il quale ha ordinato al governo italiano di trasferire il signor Brunetti in una struttura idonea con il fine di assicurargli la fruizione di un trattamento terapeutico consono rispetto alla sua patologia. Il caso in esame è emblematico dell’esistenza di un problema strutturale dell’ordinamento italiano rappresentato dalla totale inadeguatezza dell’offerta medico-trattamentale riservata agli autori di reato affetti da psicopatologie. Purtroppo, l’assenza di posti disponibili presso alcune delle strutture dedicate al trattamento di pazienti psichiatrici autori di reato è solo uno dei profili in cui si articola un problema dalle sfaccettature ben più complesse la cui soluzione non può certo individuarsi nella mera creazione di “nuovi luoghi”, ma richiede sforzi trasversali e multilivello”.

Omicidio Velletri, la fine di Federico

La carenza dei posti nelle strutture è solo la punta dell’iceberg di un problema che porta il nome di “carceri italiane”, specialmente per gli autori di reato che hanno delle psicopatologie. La mancanza di posti disponibili, di cure, di personale penitenziario e sanitario è gravissima. Il caso di Federico Brunetti è emblematico, ma non è né il primo né l’ultimo dei ragazzi che finiscono nelle mani di uno Stato che non li tutela. L’omicidio poteva essere evitato? Sì. Si è fatto qualcosa per impedirlo? Forse. È stato abbastanza? Sicuramente no. Intanto l’Italia al grido di disperazione delle carceri e alla situazione dei detenuti affetti da problemi mentali sembra ancora non voler rispondere. 

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