È l’ora di ratificare il Mes: il tafazzismo del governo rischia di costarci carissimo 

La posizione anti-Mes non è più sostenibile: anche il governo Conte nel Pnrr aveva riconosciuto che l’Italia ha bisogno del fondo

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Il Mes sta diventando lo scomodo convitato di pietra della maggioranza, che giovedì non si è presentata in commissione Esteri alla Camera, dove il testo del disegno di legge per la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità è stato approvato da Pd, Azione e Italia Viva con l’astensione del M5S. Per lo stesso motivo è stato anche rinviato il consiglio dei ministri. Il governo si è tenuto lontano dalla commissione perché altrimenti si sarebbe trovato di fronte a un bivio drammatico: dare un parere favorevole alla ratifica, confermando le indicazioni tecniche contenute nel documento firmato dal capo di gabinetto del ministro dell’Economia Giorgetti, oppure darne uno contrario, aprendo in modo formale la diserzione dagli impegni comunitari proprio alla vigilia del Consiglio europeo. Su questo dossier ormai annoso, il centrodestra si sta facendo male da solo, a causa di impuntature ideologiche palesemente contrarie all’interesse nazionale, e non può certo consolarsi col fatto che anche l’opposizione è divisa. L’obiettivo ora è quello di rinviare il voto dell’aula previsto per venerdì 30 giugno, proprio quando la premier sarà a Bruxelles. Una situazione, insomma, a dir poco imbarazzante, perché rischiamo di pagare a carissimo prezzo la fedeltà alle bandiere anti Mes che Fratelli d’Italia e Lega sventolano da molti anni, e a cui all’ultimo momento si accodò anche Forza Italia nella scorsa legislatura. Vogliamo forse rischiare una tempesta sui Btp italiani?

Insomma, la posizione anti-Mes non è più sostenibile: il governo Conte nel Pnrr aveva riconosciuto che l’Italia ha bisogno dei soldi del Mes, scrivendo che “in corrispondenza al notevole sforzo richiesto per modernizzare la sanità, le iniziative adottate dall’Unione europea forniscono opzioni di finanziamento per la risposta sanitaria alla pandemia che il governo valuterà alla luce di considerazioni di merito e di impatto finanziario”. Una posizione in contrasto col mandato parlamentare, ma l’ambiguità sul Mes fu – anche allora – deleteria da un punto di vista tattico, perché fornì un alibi perfetto ai Paesi frugali del Nord: se rifiutate il Mes, significa che non avete bisogno nemmeno degli altri aiuti. Poi i fondi del Next Generation Eu sono arrivati ugualmente, ma l’Italia continua a tirare troppo la corda, visto che ormai tutta la Ue aspetta solo il nostro sì. In questi mesi il ministro Giorgetti ha giocato forzatamente in difesa, ricordando che il Parlamento “si è già espresso, e ci ha chiesto di tornare con una proposta complessiva che guardi anche allo sviluppo dell’Unione bancaria e ad altri aspetti fondamentali, come il rafforzamento di un sistema di garanzie europeo per la promozione degli investimenti privati che potrebbe rappresentare un altro potente strumento di sviluppo in grado anche di superare il Mes, perché avrebbe un utilizzo più ampio e svincolato dallo stigma che accompagna il fondo Salva-Stati”.

Ma la realtà dice che i margini per modificare la riforma sono strettissimi, se non inesistenti, dopo che Germania e Croazia l’hanno ratificata, e restare ulteriormente col cerino in mano non è conveniente se si vuole rafforzare la nostra posizione negoziale su Patto di stabilità e modifiche al Pnrr. Un ulteriore rinvio rischia dunque di essere autolesionista. Anche perché rispetto al mes originario la situazione è totalmente cambiata: con la creazione dell’Unione bancaria l’Ue si è dotata di un fondo di circa cinque miliardi che può intervenire in caso di crisi bancarie, e se queste risorse non fossero sufficienti, l’idea è di dotare il Mes di un’altra fonte di finanziamento per affiancare il fondo di risoluzione bancaria. Il governatore friulani Fedriga ha rotto il tabù delle resistenze leghiste, in linea con Giorgetti: ratificare la riforma del Mes non significa utilizzarlo. E allora, perché continuare a farci male da soli?

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