La sirenetta, il live action Disney è un flop (ma non di ascolti)

Red
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Nell’incipit della Sirenetta: “Una sirena non ha lacrime, e quindi soffre molto di più”. E noi agonizziamo insieme a lei

La sirenetta, il live action della Disney uscito in sala il 24 maggio, prende il via citando una frase della fiaba omonima di Hans Christian Andersen: “Una sirena non ha lacrime, e quindi soffre molto di più”. Peccato che questo incipit, come del resto tutto il film, non rispetti la promessa iniziale. In questo articolo spieghiamo il perché.

“Una sirena non ha lacrime, e quindi soffre molto di più”

Questo incipit drammatico e tenebroso ci porta inizialmente fuori strada, facendoci credere (e sperare) che il live action della Disney prenda le distanze dal film originario del 1989, per approcciarsi a un tipo di narrazione più cupa, magari dalle parti di Tim Burton. E invece no. La sirenetta, di cupo, ha solo la fotografia del mondo marino, ma per il resto rimane fedele all’adattamento che la Disney fece del racconto (questo sì, tenebroso) di Hans Christian Andersen. L’operazione di per sé non sarebbe sbagliata, ma allora perché illudere lo spettatore con una falsa promessa? E perché, poi, far piangere Ariel (Halle Bailey), in un momento nemmeno tra i più drammatici del racconto, contraddicendo la frase “una sirena non ha lacrime”?

In fondo al mar, o meglio: nell’oscurità

Anche gli amanti del dark – quelli che hanno apprezzato La lunga notte di Game of Thrones – storceranno il naso nel vedere rappresentato il mondo marino di Atlantica come un grande regno desolato circondato dall’oscurità e da pesciolini in CGI dallo sguardo vitreo. I colori scuri della fotografia non sembrano giustificati da un intento stilistico, quanto dovuti alla necessità di nascondere qualcosa. Magari i corpi robotici delle sirene? Il grande dio del mare, Tritone (Javier Bardem), appare così come un vecchio sconsolato e ansioso, privo di autorità e di una vera e propria corte regale. Circondato dalle sue 7 figlie, tutte di origini etniche diverse a rappresentanza dei sette mari, non ha altre persone al suo servizio, ed è per questo che quando la nave del principe Eric affonda, inquinando il suo territorio, Tritone manda le sue stesse figlie (principesse) a ripulire il danno. Tutto questo non fa che aumentare il senso di desolazione dei primi 40 minuti del film, portandoci a condividere con Ariel il desiderio di salire in superficie insieme a lei. Che sia stato proprio questo l’intento della regia? Non credo, e se lo è stato, ci si è spinti fin troppo oltre…

la sirenetta disney 1

In superficie, La Sirenetta riprende a respirare

Se in fondo al mare La Sirenetta agonizza insieme alla povera Ariel, le parti ambientate nel mondo umano appaiono più movimentate e interessanti. Ottima l’idea della contestualizzazione geografica e storica, che ambienta il regno di Eric in un’isola caraibica dell’età coloniale. Questo serve a spiegare la sete di avventure del principe, che si rivela più un esploratore che un futuro regnante, elemento che lo rende molto simile ad Ariel, con cui condivide la curiosità verso il nuovo e il diverso.

Nonostante la contestualizzazione, però, alcuni elementi sono stati variati rispetto all’epoca del colonialismo: Eric è il figlio adottivo di una regina di colore, e questo non sarebbe stato possibile al tempo. Un elemento un po’ alla Bridgerton, quello dello stravolgimento della realtà storica, che però è in linea con il resto del racconto, che non accenna a nessun discorso razziale presentando un universo dove il colore della pelle non funge da discriminante.

Infatti, il colore della pelle di Ariel (di cui, invece, si è tanto discusso nei social) e quello delle sue sorelle, tutte di etnie diverse, non viene mai trattato. Sembrerebbe che il caro re Tritone se la sia spassata con diverse partner, ma di questo non ci è dato sapere con certezza.


Nella Sirenetta, il tema del diverso viene affrontato mettendo in contrasto gli abitanti del Mare e quelli della Terra. Sia da una parte che dall’altra, sono le vecchie generazioni a provare diffidenza verso quello che è Altro da loro, emanando divieti e punizioni per chi trasgredisce le regole. In fondo al mare, re Tritone ha bandito ai suoi abitanti di affiorare in superficie e vieta ad Ariel di interessarsi agli umani; lassù, nel regno terreste, la regina mette in guardia il figlio Eric sui pericoli del mare, insidioso perché regnato da divinità maligne. Quella che passa per una storia d’amore, si presenta così come un racconto di formazione, ed è in questo, forse, che mantiene una certa fedeltà con il racconto originario di Andersen.

La sirenetta ci mostra degli amanti con delle passioni in comune. Almeno

In questo live action della Sirenetta, il rapporto che si crea tra Ariel e il principe Eric è più approfondito rispetto all’originale del 1989, e qui percepiamo come Eric sia legato a lei anche dopo aver trovato la sua presunta salvatrice, Vanessa, dietro il volto della quale, in realtà, si nasconde la strega dei mari Ursula (interpretata da una strepitante Melissa McCarthy).
Sono molte le scene memorabili tra i due, e il merito va in particolar modo alla recitazione di Halle
Bailey, espressiva al punto giusto quando perde la voce ed è costretta a far parlare i suoi grandi occhioni neri. Il momento più suggestivo del film è quello dell’escursione in barca, dove i due innamorati vengono avvolti da un’atmosfera magica orchestrata dagli aiutanti di Ariel, ovvero il granchio Sebastian, il pesciolino Flounder e l’uccello marino Scuttle.

Eric, un principe “come nelle fiabe”

Il lavoro della sceneggiatura sul principe Eric è stato buono, perché il suo interesse per il mare e
l’avventura lo rende così simile alla protagonista da farci subito capire che sia il suo compagno ideale. Tuttavia, l’attore che lo impersona (Jonah Hauer-King) non riesce a risultare totalmente credibile in alcune parti, soprattutto per quanto riguarda il pezzo in cui canta del suo amore per la ragazza che l’ha salvato. È qui che la recitazione di Hawer-King si fa imbarazzante, troppo caricata rispetto ai contenuti che tratta. Cheesy, direbbero gli americani. Peccato, dato che il principe Eric assomiglia tantissimo a quello del film d’animazione. Ma d’altronde, la sua aria poco intelligente è forse un topos irrinunciabile per una fiaba Disney. E, forse, è proprio così che sono i principi e gli uomini perfetti: non troppo svegli. D’altronde, anche nell’Idiota di Dostoevskij si afferma: “Non è bello avere un marito simile? Un principe, e, dicono, idiota per giunta: che c’è di meglio?”.

La sirenetta del 1989, tutta un’altra storia

Era il 1989 quando uscì in sala un film d’animazione che avrebbe segnato il “Rinascimento” della
Disney, in quel momento scossa da una profonda crisi. Stiamo parlando della Sirenetta, diretto da Ron Clements e John Muster e ispirato all’omonima fiaba di Hans Christian Andersen. Il film ottenne il plauso della critica per l’animazione, i personaggi e le musiche; il successo commerciale andò di pari passo: un incasso iniziale di 233 milioni di dollari in tutto il mondo e la vittoria a due premi Oscar grazie alle musiche del compositore Alan Menken. Chi non ricorda il ritornello di Under the Sea?

Il successo della Sirenetta dell’89 era dovuto a diversi fattori, ma in particolare al buon adattamento dalla fiaba originale. La storia della sirenetta è diversa dalle fiabe Disney precedenti: Ariel è più avventurosa, meno acqua e sapone e più determinata delle classiche principesse disneyane. È lei che salva il principe, non il contrario.

Il live action della Sirenetta mantiene le caratteristiche fondamentali che hanno segnato il successo del film animato dell’89, ma non risulta altrettanto incisivo e, come abbiamo detto, contraddice la promessa narrativa iniziale. Nonostante questo, però, la campagna marketing attuata e le polemiche nate sui social riguardanti il balckwashing hanno avuto i loro effetti, e La Sirenetta è stata la regina del box office lo scorso weekend, con un incasso generale di 8 milioni di euro.

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