Com’è andato il vertice della Meloni sulle riforme: scatto sul premierato

Martina Onorati
5 Min di lettura

La premier Meloni incontra Fratelli d’Italia sul da farsi delle riforme, Autonomia e premierato. Ipotesi elezioni dirette anche del vicepremier

Continua il rush del governo sulle riforme costituzionali e prende sempre più la forma del premierato, con l’elezione diretta del capo del governo, anziché quella del presidente della Repubblica (e fa capolino anche l’ipotesi Ticket premier-vicepremier).

E’ il modello su cui la premier Giorgia Meloni si è confrontata con i capigruppo parlamentari del suo partito, Fratelli d’Italia, convocati nel pomeriggio a Palazzo Chigi. Lo stesso su cui toglie il velo pure il vicepremier, nonché ministro degli esteri, Antonio Tajani: “Noi non abbiamo pregiudizi, ma mi pare si vada verso una proposta di elezione diretta del presidente del Consiglio”, ammette parlando ai giornalisti.

il difforme antonio tajani
Il vicepremier Antonio Tajani toglie il velo sul presidenzialismo

Un modello utile anche a tenere in equilibrio l’altra riforma cardine della Costituzione che si sta discutendo al Senato, ossia quell’autonomia differenziata, creatura della Lega e del suo ministro Roberto Calderoli, che potrebbe stravolgere i poteri delle Regioni italiane. “Così si potrebbe avere un equilibrio: un governo che dura a lungo al centro e poi una autonomia amministrativa”, è l’argomentazione di Tajani. A fargli eco è il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani di FdI: “Un’autonomia più forte a livello locale, fermi restando i Lep, non significa spaccare il Paese, sarà agganciata anche a uno Stato più forte a livello centrale”, spiega Ciriani. Parole che nascondono la necessità di controbilanciare i rischi dell’autonomia. E soprattutto dare il segnale che non si intende perder tempo sul presidenzialismo, nel rispetto delle promesse elettorali e delle indicazioni date dalla ministra per le Riforme, Elisabetta Casellati, di avere un progetto di riforma entro giugno-luglio.

La “disparità” tra premierato e Autonomia

In ogni caso, che le due riforme governative debbano viaggiare in parallelo, si ripete da parecchi mesi. Lo sottolineano soprattutto i più scettici sull’autonomia, a partire da Fratelli d’Italia e Forza Italia. Consapevoli anche dal grosso gap già oggettivo tra le due riforme: l’autonomia è al vaglio della commissione Affari costituzionali del Senato e domani ci saranno le penultime audizioni, su un totale di una cinquantina previste. Per il presidenzialismo manca perfino un testo.

Dovrebbe essere un disegno di legge costituzionale e come ha assicurato Casellati, sarà una riforma light fatta di “pochissimi articoli”. Parole che fanno dedurre che probabilmente un testo esiste, anche se nascente. E magari nelle sue linee generali è stato al centro della discussione tra Meloni e i capigruppo Lucio Malan e Tommaso Foti a Chigi. Poco più di un’ora e mezzo, per un incontro riservatissimo (alcuni hanno vociferato che ci fosse pure il presidente del Senato, Ignazio La Russa di FdI, ma non confermato) che si è incrociato con la cabina di regia sul Pnrr in corso nelle stesse ore nello stesso Palazzo.

Il premierato, “dove e quando”?

Un’occasione per fare il punto sull’elezione diretta del presidente del Consiglio (definita dai partecipanti all’incontro come lo strumento migliore per garantire la stabilità agognata dal Paese e la tutela delle scelte dei cittadini) e sulla necessità di dare il via alla riforma in Parlamento. Da qui il ragionamento sul “dove e quando”: uno spunto intelligente potrebbe essere quello di far partire l’esame dalla Camera, in alternanza rispetto all’autonomia al Senato. Una scelta che in realtà nasconde i sospetti incrociati tra alleati di governo e il tentativo di marcare ciascuno il proprio territorio e controllarsi a vicenda.

Complice anche i risultati positivi delle ultime elezioni amministrative, che fanno si chè la maggioranza – e il partito di Giorgia in testa – punti a dare un segnale netto e incisivo della volontà di assegnare ai cittadini la scelta sul capo del governo. In più, si fa largo l’ipotesi di un ticket premier-vicepremier ossia introdurre l’elezione diretta anche per il vicepresidente del Consiglio. Un’opzione su cui si sta ragionando. I più favorevoli insistono sul fatto che garantirebbe un nome certo di vice qualora il premier venisse sfiduciato. I contrari vedono un tentativo di ingabbiare i ruoli condizionando troppo le scelte a monte.

Di sicuro la partita è aperta.

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