La premier Meloni incontra Fratelli d’Italia sul da farsi delle riforme, Autonomia e premierato. Ipotesi elezioni dirette anche del vicepremier
Continua il rush del governo sulle riforme costituzionali e prende sempre più la forma del premierato, con l’elezione diretta del capo del governo, anziché quella del presidente della Repubblica (e fa capolino anche l’ipotesi Ticket premier-vicepremier).
E’ il modello su cui la premier Giorgia Meloni si è confrontata con i capigruppo parlamentari del suo partito, Fratelli d’Italia, convocati nel pomeriggio a Palazzo Chigi. Lo stesso su cui toglie il velo pure il vicepremier, nonché ministro degli esteri, Antonio Tajani: “Noi non abbiamo pregiudizi, ma mi pare si vada verso una proposta di elezione diretta del presidente del Consiglio”, ammette parlando ai giornalisti.
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Un modello utile anche a tenere in equilibrio l’altra riforma cardine della Costituzione che si sta discutendo al Senato, ossia quell’autonomia differenziata, creatura della Lega e del suo ministro Roberto Calderoli, che potrebbe stravolgere i poteri delle Regioni italiane. “Così si potrebbe avere un equilibrio: un governo che dura a lungo al centro e poi una autonomia amministrativa”, è l’argomentazione di Tajani. A fargli eco è il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani di FdI: “Un’autonomia più forte a livello locale, fermi restando i Lep, non significa spaccare il Paese, sarà agganciata anche a uno Stato più forte a livello centrale”, spiega Ciriani. Parole che nascondono la necessità di controbilanciare i rischi dell’autonomia. E soprattutto dare il segnale che non si intende perder tempo sul presidenzialismo, nel rispetto delle promesse elettorali e delle indicazioni date dalla ministra per le Riforme, Elisabetta Casellati, di avere un progetto di riforma entro giugno-luglio.
La “disparità” tra premierato e Autonomia
In ogni caso, che le due riforme governative debbano viaggiare in parallelo, si ripete da parecchi mesi. Lo sottolineano soprattutto i più scettici sull’autonomia, a partire da Fratelli d’Italia e Forza Italia. Consapevoli anche dal grosso gap già oggettivo tra le due riforme: l’autonomia è al vaglio della commissione Affari costituzionali del Senato e domani ci saranno le penultime audizioni, su un totale di una cinquantina previste. Per il presidenzialismo manca perfino un testo.
Dovrebbe essere un disegno di legge costituzionale e come ha assicurato Casellati, sarà una riforma light fatta di “pochissimi articoli”. Parole che fanno dedurre che probabilmente un testo esiste, anche se nascente. E magari nelle sue linee generali è stato al centro della discussione tra Meloni e i capigruppo Lucio Malan e Tommaso Foti a Chigi. Poco più di un’ora e mezzo, per un incontro riservatissimo (alcuni hanno vociferato che ci fosse pure il presidente del Senato, Ignazio La Russa di FdI, ma non confermato) che si è incrociato con la cabina di regia sul Pnrr in corso nelle stesse ore nello stesso Palazzo.
Il premierato, “dove e quando”?
Un’occasione per fare il punto sull’elezione diretta del presidente del Consiglio (definita dai partecipanti all’incontro come lo strumento migliore per garantire la stabilità agognata dal Paese e la tutela delle scelte dei cittadini) e sulla necessità di dare il via alla riforma in Parlamento. Da qui il ragionamento sul “dove e quando”: uno spunto intelligente potrebbe essere quello di far partire l’esame dalla Camera, in alternanza rispetto all’autonomia al Senato. Una scelta che in realtà nasconde i sospetti incrociati tra alleati di governo e il tentativo di marcare ciascuno il proprio territorio e controllarsi a vicenda.
Complice anche i risultati positivi delle ultime elezioni amministrative, che fanno si chè la maggioranza – e il partito di Giorgia in testa – punti a dare un segnale netto e incisivo della volontà di assegnare ai cittadini la scelta sul capo del governo. In più, si fa largo l’ipotesi di un ticket premier-vicepremier ossia introdurre l’elezione diretta anche per il vicepresidente del Consiglio. Un’opzione su cui si sta ragionando. I più favorevoli insistono sul fatto che garantirebbe un nome certo di vice qualora il premier venisse sfiduciato. I contrari vedono un tentativo di ingabbiare i ruoli condizionando troppo le scelte a monte.
Di sicuro la partita è aperta.
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