Nella proposta di legge Costa la pena della reclusione da 1 a 4 anni prevista attualmente viene sostituita da una sanzione pecuniaria da 1.000 a 15.000 euro
In Italia sono stati avviati 6.500 procedimenti per abuso d’ufficio, e solo 57 sono approdati a condanne definitive: meno di uno su cento. Parte da questi dati la proposta di legge di abrogare il reato di abuso d’ufficio sostituendolo con una sanzione amministrativa presentata dall’ex ministro Enrico Costa, numero due di Azione, che da anni porta avanti una battaglia garantista a tutela di politici e amministratori locali. A sostegno della riforma ha illustrato un dossier di 168 pagine con le vicende kafkiane di tanti amministratori locali imputati e poi sistematicamente assolti, con molte inchieste archiviate senza neppure arrivare a processo. L’abuso d’ufficio, nonostante le modifiche avvenute nel tempo, resta un reato “vago, generico e impalpabile” che ha paralizzato l’attività amministrativa per la cosiddetta paura della firma e causato palesi ingiustizie troncando senza motivo carriere politiche esemplari. Emblematico il caso dell’ex sindaco di Agrigento Zambuto che, indagato per abuso d’ufficio nel 2014, prima che venisse approvata la legge Severino, anche se assolto non poté più ricandidarsi perché, secondo la legge regionale siciliana, chi si dimette non può aspirare allo stesso incarico. Per tutti questi motivi Costa chiede di trasformare la norma penale in una sanzione amministrativa. Il ministro Nordio è totalmente d’accordo e nelle sue linee programmatiche si è chiaramente pronunciato per l’abolizione dell’articolo 323 del codice penale, perché è impossibile restringere ulteriormente la fattispecie di reato. Ma sta trovando resistenze in Fratelli d’Italia, il partito che lo ha fatto eleggere in Parlamento, e nella Lega, che preferiscono un intervento meno drastico, mentre Forza Italia sta con lui.
Nella proposta di legge Costa la pena della reclusione da 1 a 4 anni prevista attualmente viene sostituita da una sanzione pecuniaria da 1.000 a 15.000 euro, per la quale si prevede un aumento nei casi in cui il vantaggio o il danno scaturiti dall’illecito siano particolarmente rilevanti. Il ddl prevede inoltre che spetti all’Autorità anticorruzione l’applicazione della sanzione pecuniaria, al termine di un procedimento in cui vi sia la garanzia del contraddittorio tra le parti. La stessa Anac, peraltro, ha suggerito modifiche alla normativa sull’abuso d’ufficio “che comporta un rallentamento della burocrazia”, suggerendo interventi per focalizzare meglio le condotte da perseguire “individuando i casi di conflitto di interesse e ingiusto vantaggio”.
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Oltre ai danni reputazionali derivati dall’ipertrofia di inchieste finite nel nulla, il feticcio dell’abuso d’ufficio costituisce un freno oggettivo anche allo sviluppo economico, a causa della paralisi amministrativa che blocca gli uffici pubblici e li tiene lontani dagli investimenti. Il primo passo necessario per sbloccare questa impasse sarebbe un vero disboscamento della giungla normativa esistente, in cui l’errore – e quindi il potenziale reato – è sempre dietro l’angolo. Ogni concorso pubblico, ogni gara d’appalto, ogni delibera si può infatti trasformare in un trabocchetto che porta direttamente all’avviso di garanzia, anche se le pochissime condanne sono quasi sempre associate ad altre fattispecie di reato come corruzione o concussione. Questo denota l’oggettiva difficoltà di dimostrare l’effettiva esistenza di un reato così indeterminato. A quel punto, però, il danno è già stato fatto. Per cui l’auspicio è che Nordio, con la sua autorevolezza, riesca a vincere le resistenze giustizialiste che ancora allignano nel centrodestra, visto che – per citare una sua azzeccata definizione – “il reato di abuso in atti d’ufficio è una categoria evanescente che espone i firmatari di ogni provvedimento al rischio di un calvario penale”.
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