Bullismo e cyberbullismo sono collegati. In Italia dobbiamo fronteggiare una progressiva diffusione del fenomeno
Il pestaggio a Napoli di un ragazzino da parte di una baby-gang è solo l’ultimo episodio di violenza che connota la devianza minorile come una vera e propria emergenza sociale. Il fatto, poi, che il video dell’aggressione sia stato postato sui social è la dimostrazione che ormai bullismo e cyberbullismo sono fenomeni collegati: un mix pericolosissimo. La sociologia ha individuato due tipi di bullismo: quello diretto, che consiste nel picchiare, appropriarsi degli oggetti della vittima, minacciare, insultare, prendere in giro o esprimere pensieri razzisti; quello indiretto, invece, agisce sul piano psicologico, più difficile da individuare, ma non meno dannoso. Fino a qualche anni fa il bullismo era una prerogativa quasi esclusivamente maschile, ma le cronache più recenti hanno fatto registrare comportamenti aggressivi anche fra le ragazzine.
Bullismo e cyberbullismo sono due facce della stessa medaglia, cioè della volontà di dominio di chi lo pratica nei confronti di un compagno di scuola: la differenza fondamentale è che il bullismo tradizionale non si nasconde, ha un nome, un cognome e un volto, e opera davanti a un pubblico passivo di conoscenti che diventano complici silenziosi. Raramente scatta la solidarietà con la vittima. Il cyberbullismo invece è ancora più subdolo, perché è coperto dall’anonimato. In Italia dobbiamo fronteggiare una progressiva diffusione del fenomeno del cyberbullismo, che si attua attraverso e-mail, sms, blog, telefoni cellulari e siti web. I cyberbulli, forti dell’anonimato, agiscono nella certezza di essere invisibili, non identificabili, e quindi di rimanere impuniti. Al contempo, nelle giovani vittime è molto radicata l’omertà. I giovani internauti hanno paura che, confidando l’accaduto, i genitori gli vietino l’accesso al web e, soprattutto, si sentono deboli, incapaci di difendersi, alimentando in loro un pericolosissimo senso di vergogna e d’inadeguatezza. Le conseguenze sono spesso gravissime, provocando stati di depressione, ansie, paure, frustrazioni, bassa autostima, problemi scolastici e, nei casi più estremi, idee suicide. E’ il caso tragico di Carolina, la ragazza di Novara che dieci anni fa si uccise nel 2013 dopo che i suoi violentatori avevano postato la scena sul web, e alla cui memoria fu approvata una legge ad hoc, che si è dimostrata però insufficiente: il Parlamento spesso approva una norma giusta che poi però non esplica i suoi effetti o perché tardano i decreti attuativi o perché mancano gli stanziamenti necessari. Ma bullismo e cyberbullismo sono ormai un’emergenza sociale che non può essere sottovalutata. E’ necessario investire nell’educazione alla consapevolezza digitale dei ragazzi, soprattutto da quando l’età del consenso digitale è stata abbassata a 14 anni. Troppi ragazzi non sono pienamente consapevoli di cosa siano il dato personale e il suo trattamento, né di chi possa vedere i loro profili social.
I dati sul fenomeno sono impressionanti: uno studente su quattro in Italia compie o subisce atti di cyberbullismo. Gli aggressori sono soprattutto maschi e tra le pratiche di cyberbullismo più diffuse spiccano il flamming (singoli messaggi violenti o volgari), la denigration (distribuzione in Rete o via sms di contenuti falsi e denigratori per danneggiare la reputazione della vittima), l’impersonation (creazione di una identità fittizia a nome della vittima per danneggiarla). Assistiamo purtroppo alla crescente tendenza dei giovani a sviluppare, attraverso l’uso dei nuovi media, una forma di socialità aggressiva e violenta e quindi vanno messe in atto tutte le misure di prevenzione e di contrasto già previste dalla legge per incentivare tra i ragazzi un uso positivo della Rete. In questo senso è fondamentale l’alleanza tra scuola e famiglia, le due comunità basilari per la formazione di un adolescente: da una parte con la promozione di percorsi di educazione alla consapevolezza digitale all’interno delle scuole, dall’altra con il recupero delle figure genitoriali, che devono essere più presenti nella vita dei figli. Non può essere infatti considerato un’attenuante l’analfabetismo in campo informatico dei genitori, molti dei quali non si rendono conto che oltre al danno educativo sono titolari della responsabilità giuridica per le condotte dei figli. I segnali di sofferenza vanno intercettati tempestivamente, prima che la situazione precipiti, e la vigilanza nelle scuole deve essere più attenta.
Il cyberbullismo è una variante molto più pericolosa del bullismo, perché si svolge in un mondo apparentemente virtuale, ma che produce effetti devastanti nella realtà. La vittima infatti non può direttamente controllare in rete gli attacchi che subisce, e spesso non riesce neppure a sapere chi sono i suoi “nemici” nascosti. E’ una violenza subdola di fronte alla quale non c’è quasi difesa. La soluzione non è certo quella di proibire il ricorso alla rete, ma da una parte occorre dare agli adolescenti, ma prima ancora ai bambini, una valida educazione digitale, e dall’altra bisogna aprire una rete di protezione sociale attraverso la formazione capillare degli operatori. Ma occorrono risorse adeguate.
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