Da inizio anno l’intelligenza artificiale fa notizia, producendo attenzione, entusiasmo, preoccupazione, emotività
Chi più, chi meno, siamo tutti un po’ preoccupati, incuriositi, spaventati circa l’impatto che questa tecnologia può avere sulle nostre vite e in particolare sul mondo del lavoro. Lo conferma l’indagine “Gli italiani e l’intelligenza artificiale. Cosa ne pensano, cosa si aspettano“, che Youtrend ha realizzato per la nostra Fondazione Pensiero Solido e che presentiamo oggi, nel pomeriggio di studio “Intelligenza artificiale. E noi? Sfide, opportunità, responsabilità”
Tra paure ed entusiasmi, dobbiamo puntare a essere ragionevoli, preparati e quindi consapevoli. Per essere consapevoli, il primo punto è chiarire ciò di cui stiamo parlando. Nella sua audizione di pochi giorni fa al Senato USA, Sam Altman, inventore del famoso ChatGPT3 e capo della società OpenAI, ha detto che l’Intelligenza artificiale non è una creatura, ma è uno strumento.
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Altman ha ragione, perché l’intelligenza artificiale non esiste in natura, ma è una costruzione dell’uomo. Tuttavia non è neppure solo uno strumento: non lo è perché non siamo davanti a un semplice algoritmo che si limita a eseguire le istruzioni, come avviene con l’intelligenza artificiale che da anni abbiamo, per esempio, nel nostro smartphone oppure nella nostra auto.
L’intelligenza artificiale di cui si sta parlando in questi mesi ha queste due fondamentali nuove caratteristiche: è generativa ed è conversazionale. Vale a dire che impara ed evolve continuamente in modo autonomo, attingendo a tutto il patrimonio di conoscenze messo a sua disposizione ed è capace di dialogare con noi esseri umani, anche con coloro che non sono più tra noi, come dimostra il “dialogo” che Bill Gates ha potuto fare con Socrate, proprio usando questo tipo di intelligenza artificiale.
Queste due caratteristiche, assieme alla velocità supersonica con la quale risponde alle nostre richieste sta sia l’opportunità che la sfida che l’intelligenza artificiale pone a tutti noi. Di questo e molto altro ancora ragioneremo domani pomeriggio.
Avremo 25 interventi: i rappresentanti delle grandi aziende tecnologiche, a partire da Microsoft e Google, e con CNR, IIT, Sapienza, LUISS, Cattolica e Politecnico di Milano. Quindi approfondiremo le ricadute etiche e filosofiche e quelle sul lavoro, sulla sanità, sulla attività legale, sulle persone con disabilità, sulla politica e sulla privacy e valuteremo con alcune aziende la possibilità di una “via italiana” all’AI.
Il nostro intento è aiutarci a comprendere che non dobbiamo aver paura del cambiamento, anche se cambiare per noi esseri umani è normalmente un fatto traumatico. L’intelligenza artificiale generativa e conversazionale non è una moda del momento. È un cambiamento epocale, rapido e vertiginoso, tipico dell’era digitale. Sta a tutti noi che viviamo nelle democrazie occidentali fare in modo che questo cambiamento sia al nostro servizio e non diventi uno strumento di prevaricazione.
Per questo momenti di approfondimento e poi di ampia divulgazione sono necessari e auspicabili. Dobbiamo uscire dall’emotività e arrivare a una consapevolezza diffusa, chiarendo che la prima responsabilità sta in capo a chi progetta questi software. Serve da parte di programmatori e imprese del settore una “responsabilità sociale aumentata“.
Antonio Palmieri, fondatore e presidente Fondazione Pensiero Solido
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