Mani Pulite fu un golpe? Quasi…

6 Min di lettura

Mani pulite non fu insomma la culla della civiltà giuridica, ma la barbara fucina delle sentenze anticipate, perché un semplice avviso a tutela dell’indagato diventava automaticamente una condanna, complice la grancassa mediatica di un giornalismo che aveva totalmente abdicato al suo ruolo di controllo per diventare l’ufficio stampa delle procure

Gherardo Colombo, nell’introduzione al libro postumo di Enzo Carra, sostiene che mentre Mani Pulite muoveva i primi passi fu “suggerito alla politica” di confessare i propri reati e di uscire dalla vita pubblica in cambio dell’impunità, un vero e proprio scambio – proposto dalla procura di Milano – tra ricostruzione dei fatti ed estromissione dal processo. Chi avesse raccontato, restituito e temporaneamente abdicato alla vita pubblica non avrebbe più avuto a che fare con la giustizia penale. Tanto è bastato per far titolare al Riformista, quotidiano garantista per eccellenza, che in Italia nel ’92 ci fu un colpo di Stato. La “soluzione politica” che i governi Amato e Berlusconi cercarono invano di trovare per l’opposizione del pool, era stata dunque in qualche modo anticipata dai magistrati, ma alle loro condizioni e con un palese scambio di ruoli tra l’ordine giudiziario – che dovrebbe solo applicare le leggi – e il legislatore. Un anno fa, nel trentennale di Mani Pulite, lo stesso Colombo aveva detto che allora non ci fu alcun disegno di potere (nonostante che il suo ex capo Borrelli fosse arrivato perfino a teorizzare la “supplenza” della magistratura sulla politica), e aveva negato qualsiasi forzatura delle regole (ma l’uso sistematico della carcerazione preventiva per far confessare gli indagati fu un modus operandi dimostrato dai fatti). Del resto, il clima giacobino alimentato dalla stampa e da un’opinione pubblica che pretendeva ogni giorno la testa di un potente da ghigliottinare, aveva riconosciuto ai pubblici ministeri milanesi un’aura di superiorità morale e di infallibilità che gli permise di diventare i padroni del Paese. Nel luglio del ’94, non a caso, si presentarono davanti alle tv, sugli scalini esterni del Palazzo di Giustizia, annunciando di non poter proseguire le indagini su Tangentopoli perché il famigerato decreto Biondi gli avrebbe impedito di arrestare gli indagati. Un autentico e irrituale pronunciamento, dai toni vagamente eversivi, che rappresentò anche il primo atto di guerra contro l’allora premier Berlusconi, che pochi mesi dopo sarebbe stato infatti costretto a dimettersi dopo un avviso di garanzia recapitato mentre presiedeva un vertice internazionale contro la criminalità.

Mani pulite non fu insomma la culla della civiltà giuridica, ma la barbara fucina delle sentenze anticipate, perché un semplice avviso a tutela dell’indagato diventava automaticamente una condanna – i ministri caddero uno dopo l’altro – complice la grancassa mediatica di un giornalismo che aveva totalmente abdicato al suo ruolo di controllo per diventare l’ufficio stampa delle procure. La rilettura storica di quegli anni lascia dunque aperti molti interrogativi, ma soprattutto tante certezze: è indubbio infatti che Tangentopoli aprì la strada alla scorciatoia giudiziaria per dirimere lo scontro politico, facendo pendere la bilancia dalla parte della sinistra. Mani pulite fu un’operazione giudiziaria ma anche politica, che colpì a senso unico dividendo con l’accetta i leader dei partiti tra chi “non poteva non sapere” e chi invece poteva non sapere nulla dei finanziamenti illeciti e dei fatti corruttivi.

Il trattamento di favore riservato ai dirigenti comunisti resta indubitabile. Alla fine della Prima Repubblica il Pci era a pezzi, esattamente come la Dc e il Psi che uscirono di scena con ignominia, tra lazzi e monetine, ma usò cinicamente come puntello l’ordine giudiziario per presentarsi agli italiani con la fedina pulita, grazie anche all’amnistia dell’89 che gli era stata improvvidamente concessa dal pentapartito. Eppure era stato proprio il flusso di denaro proveniente da Mosca a innescare la corsa al finanziamento illecito, a dimostrazione che la diversità morale era solo falsa propaganda: quello al Pci era il finanziamento irregolare più anomalo, perché arrivava da uno Stato nemico. Ma le inchieste si limitarono a colpire solo i quadri intermedi del partito, fermandosi sempre sulla soglia di Botteghe Oscure.

“Vogliamo sintetizzare le conseguenze di Mani pulite? – concluse Colombo -. Sono finite le indagini ma non è finita la corruzione”. L’unica certezza è che da Tangentopoli in poi l’uso politico della giustizia è diventato una prassi, come l’obbligatorietà dell’azione penale usata con la clava della più assoluta discrezionalità. La persecuzione giudiziaria di Berlusconi resta la pistola fumante di questa deriva. Non sarà stato un golpe, ma un’invasione di campo tra poteri dello Stato, questo indubbiamente sì.

© Riproduzione riservata

Condividi questo Articolo