Ucraina: il dilemma pacifista della Schlein

Massimo Colonna
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Il conflitto sarà purtroppo a lungo uno spartiacque della politica italiana: sarà interessante vedere come evolverà la posizione del Pd, visto che la nuova leader ha sempre tenuto una posizione ambigua sulla guerra

“L’Italia continuerà a garantire il sostegno all’Ucraina, senza badare al consenso al governo e a me perché è giusto farlo. L’aiuto è necessario per garantire la legittima difesa di una nazione aggredita. Considero puerile chi dice che sottraiamo risorse ai cittadini. È falso, l’Italia invia all’Ucraina materiali di cui non abbiamo bisogno. E noi vogliamo tenere la guerra lontana dall’Europa. Dire che togliamo risorse alle pensioni o per tagliare le tasse è una menzogna”. Più chiara di così la premier Giorgia Meloni non poteva esserlo nelle comunicazioni al Senato alla vigilia del Consiglio europeo. D’altronde sa di poter contare su una maggioranza che, al di là di alcuni autorevoli distinguo, ha sempre votato compattamente a favore dell’invio di aiuti militari a Kiev. Nei guai invece c’è Elly Schlein, la segretaria del Pd, molto vicina al mondo pacifista, ma costretta a votare insieme alla maggioranza per non sconfessare la linea atlantista di Letta lasciando così campo libero al suo alleato-rivale Conte, che sulle armi sta giocando una partita tanto spregiudicata quanto paradossale: fu lui, da premier, ad aumentare le spese militari più di chiunque altro, e ora veste i panni del leader pacifista, riparandosi dietro l’usbergo della diplomazia e del “negoziato”, termine beffardo e improprio davanti a un dittatore come Putin deciso a tutto per raggiungere gli obiettivi della ”operazione speciale”.

L’Ucraina sarà purtroppo a lungo uno spartiacque della politica italiana, e sarà interessante vedere come evolverà la posizione del Pd, visto che la nuova leader ha sempre tenuto una posizione ambigua sulla guerra, ben sintetizzata da questa frase: “Secondo me non è con le armi che risolveremo il conflitto con una potenza nucleare e da federalista europea convinta, quindi con nessun dubbio sulla mia collocazione europea e atlantica, vorrei vedere un ruolo più forte dell’Unione europea nel cercare una via per porre fine alla guerra”.

Le contraddizioni del Partito Democratico 

C’è una palese e inquietante simmetria tra questa posizione e la mobilitazione trasversale di un gruppo di intellettuali italiani per fermare la guerra in Ucraina attraverso “un negoziato credibile”. C’è un perverso vizio ideologico alla base di questo ragionamento, perché nella mente di questi acuti pensatori il pericolo per l’umanità non è rappresentato dai regimi illiberali, ma da chi vi si oppone, a partire dal popolo ucraino la cui ostinata resistenza all’invasore viene di fatto giudicata come il vero elemento di destabilizzazione degli equilibri mondiali.

L’assunto è tanto assurdo quanto banale: se un autocrate in possesso dell’arma nucleare decide di invadere un Paese vicino, nonostante si macchi di crimini di guerra sempre più atroci, l’Occidente avrebbe il dovere, in nome della Realpolitik di offrirgli un negoziato in cui gli si concede di tenersi quasi tutti i territori illegittimamente occupati senza pretendere in cambio neppure il risarcimento dei danni inflitti a un Paese sovrano.  Dietro a questa posizione, che non è mai cambiata nonostante la scoperta di sempre nuove e aberranti atrocità russe, c’è una lettura strabica degli eventi che hanno portato alla guerra, con il tentativo di ribaltare le responsabilità sull’Occidente e sulla Nato che si è spinta troppo a Est, cancellando col bianchetto della storia la volontà neoimperialista di Mosca. Per cui, su queste basi, il “negoziato credibile” diventa una resa senza condizioni e possedere l’atomica conferirebbe il diritto di violare senza conseguenze il diritto internazionale. Eppure, che la resistenza del popolo ucraino sia ormai divenuta il simbolo dello scontro geopolitico tra democrazie e autocrazie dovrebbe essere un fatto acquisito, ma c’è chi continua a tifare per Putin. In nome della finta pace.

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