Dopo il naufragio di Cutro l’Europa fissa un nuovo tavolo: il 23 marzo. Ma intanto un’altra barca si ribalta al largo della Libia. In Italia vige la legge del 2002. Nella gestione dei migranti c’è un solo fattore che finora sta incidendo: il tempo
Subito dopo la tragedia di Cutro le segreteria di Bruxelles si sono allertate: Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo, ha subito scritto una lettera alla premier Giorgia Meloni per ribadire – ribadire! – quanto sia importante mettere al centro della discussione europea la questione migranti. Una lettera ben accolta da Palazzo Chigi, perché “in piena sintonia con il volere del governo”. Bene. Di lì a poco ecco anche la convocazione di un nuovo tavolo, quello del 23 e del 24 marzo, in cui i leader europei affronteranno di nuovo la problematica. Non solo, ma prima del 23 ecco che le cancellerie potrebbero anche lavorare a incontri bilaterali – il ministro Piantedosi è pronto per un Italia/Francia – sempre sul tema.
Ma intanto scoppia il nuovo caso
Al tavolo di fine marzo si arriverà a una conclusione? Tutto sembra dire di no. L’Italia probabilmente ribadirà la propria proposta di arrivare a un piano di sostegno economico per i Paesi di primo approdo anche nell’area del Mediterraneo, sulla falsa riga di quanto accaduto con la Turchia per la rotta dei Balcani. Ma gli altri 27? Al momento, inutile dirlo, l’Europa è spaccata, con chi vuole continuare con le modifiche al trattato di Dublino – che tratta proprio i primi Paesi di arrivo dei migranti – e chi invece punta a soluzioni più drastiche – soprattutto il blocco Est Europa. Difficile dunque ipotizzare che il tavolo del 27 marzo sia risolutivo. Nel frattempo però, a poche ore di distanza dal naufragio di Cutro, ecco che una nuova imbarcazione si è rovesciata, al largo della Libia. Un nuovo caso che, oltre a sollevare polemiche politiche – a volte anche stucchevoli e di pura propaganda – riporta però al centro del dibattito un fattore: il tempo.
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La Bossi-Fini e i vari rattoppi
In questo contesto, c’è anche da considerare che la legge italiana che regola la questione migranti oggi è la Bossi-Fini, entrata in vigore il 10 settembre 2002 col secondo governo Berlusconi. Una legge che fu approvata dal Senato il 28 febbraio con 153 voti favorevoli, 96 contrari e 2 astenuti, passando quindi alla Camera che l’approvò con modifiche il 4 giugno con 279 favorevoli, 203 contrari e un astenuto. L’impianto legislativo venne approvato definitivamente dal Senato l’11 luglio con 146 favorevoli, 89 contrari e 3 astenuti. Tra le novità – per quell’epoca – le espulsioni con accompagnamento alla frontiera; il permesso di soggiorno legato a un lavoro effettivo; l’inasprimento delle pene per i trafficanti di esseri umani; la sanatoria per colf, assistenti ad anziani, malati e diversamente abili, lavoratori con contratto di lavoro di almeno un anno; l’uso delle navi della Marina Militare per contrastare il traffico di clandestini.
Una norma che nel corso del tempo ha subito diversi rattoppi, con l’inserimento di articoli bis, ter e quater. “Una legge arlecchino”, la chiamano gli addetti ai lavori. Nata un’era politica fa, la Bossi-Fini si concentrava maggiormente sul quadro lavorativo del migrante, garantendo un permesso di soggiorno a chi disponeva di un lavoro. Oggi il quadro è enormemente più complicato e sovrastrutturato all’inverosimile: le migrazioni avvengono per moltissimi altri motivi rispetto a quello economico, e anche il quadro sociale è enormemente diverso – non solo in Italia – rispetto a venti anni fa. Senza considerare il Covid e la guerra ucraina, prima ancora la Siria e la Primavera Araba.
Cambiarla o no? L’unica certezza è il tempo
Giusto quindi cambiare la Bossi-Fini? La palla passa al governo. L’unica certezza è che i processi decisionali europei devono sempre più tenere in considerazione un fattore che il mondo degli ultimi anni ha innalzato a elemento dirimente: il tempo.
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