Femminicidi: è urgente potenziare il Codice rosso

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C’è da sanare il vulnus causato dalla riforma Cartabia: l’incongruenza tra l’introduzione dell’obbligatorietà dell’arresto in flagranza per la violazione dell’avvicinamento alla persona offesa e la mancata modifica delle norme sull’applicabilità delle misure cautelari 

I femminicidi dall’inizio dell’anno sono stati già nove, una scia di sangue che non accenna a fermarsi nonostante l’Italia abbia un robusto apparato legislativo: grazie alla riforma del diritto di famiglia, al recepimento della Convenzione di Istanbul e al Codice rosso, la violenza sessuale, domestica e il femminicidio sono considerati crimini contro l’umanità. Le pene sono state inasprite, sono stati introdotti nuovi reati come lo stalking, il revenge porn, il matrimonio precoce. Eppure le donne continuano a morire: bisogna dunque attuare davvero le leggi esistenti e rafforzare le misure di protezione delle vittime, soprattutto di chi denuncia, mettere in salvo le donne e i loro figli, garantire finanziamenti adeguati ai centri antiviolenza e alle case rifugio, incentivare l’utilizzo del braccialetto elettronico e garantire un’adeguata formazione per tutti gli operatori della filiera della giustizia. 

L’impegno del governo 

In occasione dell’otto marzo, la premier Meloni ha ricordato i fondi stanziati nella legge di bilancio per i centri antiviolenza e le case rifugio, impegnandosi a incentivare l’uso dei braccialetti elettronici che vengono poco usati perché non ce ne sono abbastanza. Il codice rosso, la legge del 2019 a tutela delle donne vittime di violenza, ha costituito un indubbio passo avanti, ma la sua efficacia è stata limitata dal fatto che in troppi casi – a causa degli organici ridotti delle procure – non viene rispettato il termine di ascoltare la persona offesa entro tre giorni. Ora, per tutelare ancora di più l’incolumità delle vittime, il governo ha predisposto nuove misure per garantire piena e immediata applicazione delle disposizioni del codice rosso, prevedendo conseguenze processuali in caso di colpevoli ritardi od omissioni. C’era, innanzitutto, da sanare un vulnus causato dalla riforma Cartabia, perché esiste una palese incongruenza tra l’introduzione dell’obbligatorietà dell’arresto in flagranza per la violazione dell’avvicinamento alla persona offesa e la mancata modifica delle norme sull’applicabilità delle misure cautelari personali, obbligando così l’autorità giudiziaria all’immediata liberazione degli arrestati. Si tratta di un intervento necessario e urgente, perché in questi anni troppe donne che hanno trovato il coraggio di denunciare si sono trovate poi esposte alle rappresaglie dei partner-aguzzini. In questo senso, la possibilità di decidere il fermo di fronte a indizi che facciano temere per l’incolumità della donna rappresenta un salto di qualità nella risposta dello Stato, così come la facoltà di procedere d’ufficio. Altrettanto fondamentale è l’aiuto economico garantito già nella fase delle indagini, un incentivo a denunciare per le donne che si trovano in una situazione economica difficile. Ora l’auspicio è che il Parlamento approvi in tempi rapidi la nuova legge, mentre il governo dovrà mettere gli uffici giudiziari in condizione di renderla effettiva.

parlamento senato

Come procede il lavoro in Parlamento 

Il Senato, intanto, ha dato il via libera all’istituzione di una Commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio, per proseguire il lavoro iniziato in Parlamento nella passata legislatura, da cui è emerso un quadro drammatico di violenze familiari continuate, mancate denunce, carenza nella protezione delle vittime e sottovalutazione del rischio. Gli interventi da attuare sono noti: individuare i motivi scatenanti per fermare in tempo l’omicida, rendere più consapevoli le potenziali vittime dei rischi che corrono in situazioni di violenza domestica e migliorare il lavoro preventivo delle istituzioni. Le inchieste giudiziarie, e poi le sentenze, hanno dimostrato che nella quasi totalità dei casi gli omicidi sono il frutto di pregresse violenze, minacce, pedinamenti, ovvero di un accumulo di rabbia culminato nel femminicidio, che diventa il tragico sbocco di ciò che era stato pianificato attraverso durature forme di violenza fisica, psicologica e sessuale inferte alla vittima nel corso del tempo. Il problema è che questi comportamenti ossessivi spesso non sono riconoscibili perché in certi contesti vengono considerati “normali”, e questo è l’aspetto più grave del fenomeno: sono ancora poche, infatti – anche se col codice rosso le denunce sono aumentate – le donne che si rivolgono alle forze dell’ordine o ai centri antiviolenza, e spesso ritirano la querela contro il partner.

La prima indagine dell’Istat fu uno choc 

La prima indagine dell’Istat, nel 2001, fu una sorta di choc per il Paese: nessuno infatti avrebbe mai pensato che milioni di donne avessero subito violenza fisica o sessuale. La diffusione di quei dati rappresentò un punto di non ritorno. La violenza sulle donne resta, più di venti anni dopo, un fenomeno molto diffuso. Nel corso della propria vita poco meno di sette milioni di donne tra i sedici e i settant’anni, quasi una su tre, rivelano di aver subito qualche forma di violenza fisica o sessuale. Gli autori delle violenze più gravi sono prevalentemente i partner attuali o gli ex, ed è in questa fascia che vanno potenziati gli interventi di prevenzione. Ma nessuna legge sarà mai veramente efficace senza una solida base finanziaria.

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