Migranti: su Cutro la Commissione europea sta col governo

Massimo Colonna
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L’Unione europea è da almeno un decennio in una situazione di stallo politico, dove è impossibile prendere una decisione comune. Ma il problema dell’immigrazione va risolto in sede europea, partendo dal superamento del Trattato di Dublino, una convenzione concepita in una diversa fase storica, dopo il crollo del Muro di Berlino, adatta a gestire numeri contenuti

Questa volta la concordanza della Commissione europea col governo italiano è stata pressoché totale sulle cause della tragedia di Cutro, con un’apertura molto significativa alle nostre istanze (“L’immigrazione è una sfida europea che richiede una soluzione europea”) e con l’impegno a fermare le partenze dei migranti economici attraverso una guerra senza quartiere ai trafficanti di uomini. 

Le promesse dell’Europa dopo Cutro 

Vedremo se le promesse di Von der Leyen – 500 milioni di euro e 50 mila migranti da redistribuire in Europa grazie a nuovi corridoi umanitari – si tradurranno in impegni concreti o verranno ancora una volta vanificate dalle resistenze dei partner dell’Unione. Intanto il consiglio dei ministri di domani varerà pene più alte per gli scafisti, inasprendole ulteriormente in caso di morte dei migranti, prevedendo anche un potenziamento dei corridoi umanitari e procedure più snelle per chi ha diritto di asilo. Insomma: un provvedimento in equilibrio fra il pugno duro nei confronti degli scafisti e il rafforzamento delle misure di accoglienza degli immigrati regolari. Il centrodestra ha respinto compattamente e con fermezza l’assalto – in larga parte strumentale – condotto dalle opposizioni e adegua le sue politiche migratorie al principio di realtà, rafforzando una linea di chiamata in causa dell’Europa che era già stata esplicitata in più occasioni anche da Draghi. Il quale, nel corso del vertice con Erdogan, disse senza giri di parole che “forse siamo il Paese meno discriminante e aperto il più possibile, ma anche noi abbiamo dei limiti e ora ci siamo arrivati. Noi cerchiamo di salvare vite umane, ma occorre anche capire che un Paese che accoglie non ce la fa più. I continui sbarchi stanno creando in Italia una situazione insostenibile”. Frasi che fecero insorgere il partito dell’accoglienza indiscriminata ma che fotografavano una realtà inequivocabile: l’Italia è arrivata al limite, e i flussi previsti in continuo aumento nei prossimi mesi necessiteranno di un coinvolgimento comunitario non più rinviabile.

Il Regolamento di Dublino e il primo approdo 

In questi anni gli interventi della Commissione europea sulla gestione delle ripetute crisi migratorie e sul funzionamento del sistema comune di asilo sono stati del tutto fallimentari, soprattutto per il sostanziale rifiuto degli Stati membri di dare risposte solidali, facendosi scudo del Regolamento di Dublino che fa ricadere tutti gli oneri dell’accoglienza sui Paesi di primo approdo. Tutte le intese sbandierate come altrettante svolte storiche – dal Patto di Malta all’intesa di Lussemburgo tra i ministri dell’Interno sui ricollocamenti – si sono rivelate in realtà illusorie, non prevedendo mai alcuna redistribuzione obbligatoria, ma procedendo solo su base volontaria. L’unica concessione è stata il vago impegno, per chi rifiuta i ricollocamenti, di garantire un sostegno finanziario ai Paesi che ospitano i migranti. In sostanza: un incentivo a pagare e a tenere chiusi i propri confini. A questo si aggiunge un altro palese fallimento: quello dei mancati rimpatri degli irregolari, una falla comune a tutti gli Stati membri, ma che vede agli ultimi posti proprio Italia e Grecia, i Paesi più esposti agli sbarchi dei migranti irregolari. La sinistra che continua a negare l’emergenza, insomma, nega la realtà.

L’Unione europea è da almeno un decennio in una situazione di stallo politico, dove è impossibile prendere una decisione comune. Ma il problema dell’immigrazione va risolto in sede europea, partendo dal superamento del Trattato di Dublino, una convenzione concepita in una diversa fase storica, dopo il crollo del Muro di Berlino, adatta a gestire numeri contenuti. Al momento però una solidarietà obbligatoria verso i Paesi di primo arrivo attraverso la presa in carico dei salvati in mare rimane divisiva per i 27 Stati Membri. Serve un’alternativa di lungo periodo, per fare in modo che nessun Paese sia lasciato solo. Il Patto sulla Migrazione e l’Asilo proposto il 23 settembre del 2020 dalla Commissione Europea ha avuto il merito di cercare un cambio di prospettiva, ma il negoziato è ancora in alto mare.

L’approccio del governo Draghi 

Questo per dire che la linea della fermezza scelta dal governo Meloni non è stata dettata da un’impuntatura identitaria su un tema caro alla destra, ma si basa su un dato di realtà che solo la sinistra finge di non vedere. Fu non a caso il governo Draghi a imporre la gestione dei flussi migratori nell’agenda del Consiglio europeo di fine giugno 2021: “Il governo – disse l’allora premier – vuole gestire l’immigrazione in modo equilibrato, efficace e umano, ma questa gestione non può essere soltanto italiana, deve essere davvero europea. Occorre un impegno comune che serva a contenere i flussi di immigrazione illegali, a organizzare l’immigrazione legale e aiutare questi Paesi a stabilizzarsi e a ritrovare la pace. Un migliore controllo della frontiera esterna dell’Unione può essere la base per un piano più ampio che comprenda anche il tema dei ricollocamenti”. Il Pd faceva a pieno titolo parte di quel governo, e non ebbe nulla da eccepire. Ora invece sta cavalcando irresponsabilmente la linea opposta, palesemente contraria all’interesse nazionale, mentre il governo Meloni sta cercando di mettere una volta per tutte l’Europa di fronte alle sue contraddizioni, nella consapevolezza che non possono essere le Ong, né tantomeno gli scafisti, a decidere chi può varcare i confini dell’Unione.

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