A Sanremo si riflette: i quattro monologhi delle co-conduttrici

Claudia Innocenti
21 Min di lettura

Dal rapporto madre e donna lavoratrice di Chiara Ferragni non facile ai nostri tempi, passando per la situazione difficile nelle carceri minorili italiane con Francesca Fagnani, al razzismo e l’arrivare ultimi che non è mai una sconfitta con Paola Egonu fino alla non maternità con Chiara Francini

Tra divertimento e musica sul palco dell’Ariston nelle prime quattro serate non sono mancati spazi e momenti per ospitare profonde riflessioni, tutte diverse tra loro ma tutte incredibilmente utili per farci capire dove siamo e che non siamo soli. Infatti, difficilmente, ascoltando le parole delle co-conduttrici non si è pensato “è capitato anche a me”, “l’ho pensato anche io”, “anche io ho avuto la stessa paura”. Questo perché, le quattro differenti personalità presenti al Festival hanno parlato di umanità e quando si parla di umanità con umanità si arriva sempre al cuore delle persone.

Con sensibilità, storie e professioni diverse le quattro donne del Festival hanno toccato temi importanti di cui spesso si parla poco o non abbastanza. Ed è stato fondamentale affrontare certe questioni sul palco più importante del nostro Paese, sia per il Festival di Sanremo stesso sia per tutte e tutti noi. Il primo monologo è firmato Chiara Ferragni ed è stato narrato durante la prima serata del Festival. L’imprenditrice digitale ha deciso di parlare a milioni di italiani senza filtri attraverso una lettera scritta alla Chiara bambina e, raccontando a lei come sarebbe cambiata la sua vita tra successi e paure.

Il messaggio che si nasconde dietro il suo discorso è un consiglio: quello di ricordarci della nostra infanzia e di dedicare successi a traguardi a chi eravamo prima, alla versione più ingenua di noi, noi bambini. Chiara ci ha raccontato la sua vita, le sue paure, le sue incertezze il suo “non sentirsi abbastanza” che bussa almeno una volta nella vita nella testa di tutti noi.

La lettera di Chiara Ferragni alla Chiara bambina: un invito a parlare più spesso con i noi bambini

Ciao bimba, ho deciso di scriverti una lettera. Ogni volta che penso a te mi viene da piangere e non so bene neanche il perché, forse perché mi manchi, forse perché vorrei poterti far uscire fuori un po’ di più”, così inizia il suo monologo ricco di esempi concreti della sua vita che hanno l’obiettivo di mandarci un messaggio importante: se vuoi puoi diventare chi desideri.

Vuoi sapere un po’ del tuo futuro? – chiede Chiara grande alla Chiara piccola- voglio farti una premessa: ho sempre cercato di renderti fiera. Tutto quello che faccio, io lo faccio per te. Per la bambina che sono stata. Ma c’è una cosa che mi fa stare male, in qualunque fase della mia vita, sia mentre piangevo in cameretta che quando sfilavo sui più importanti red carpet c’era un pensiero fisso nella mia testa: non sentirmi abbastanza. Quando ci penso vorrei solo poterti abbracciare forte perché mi rendo conto che ogni volta che ho pensato qualcosa di negativo su di me l’ho pensato anche di te e tu non lo meriti – continua l’imprenditrice digitale- ecco allora vorrei dirti innanzitutto questo: sei abbastanza lo sei sempre stata. Tutte quelle volte che non ti sei sentita abbastanza brava, abbastanza bella, abbastanza intelligente, qualsiasi cosa abbastanza lo eri.

La fatica di essere madri ed essere donne lavoratrici

Chi ha ritenuto che Chiara Ferragni volesse parlare solamente di sé non ha capito bene e fino in fondo il suo monologo. Chiara con la sua lettera a Chiara piccola invita le persone a dialogare di più con i bambini che sono stati a cui noi adulti dobbiamo tutto. Tra commozione, consigli e fragilità che fanno parte della vita, l’influencer amata da milioni di follower si racconta: “Ti dico una cosa bellissima: ho due bambini splendidi adesso. La somma perfetta di un sentimento immenso, ma, di fede non ti dico nulla non ti voglio togliere la sorpresa e la meraviglia di scoprire piano piano l’amore vero”.

Sull’essere mamma, l’imprenditrice digitale, coglie l’occasione per dire che sarà il mestiere più difficile e non sarà mai facile: “Ti svelo un segreto, stanno anche loro crescendo con te riferendosi all’essere genitore e quelli che vedi infallibili sono persone che fanno del loro meglio, nel tentativo di fare sempre la cosa giusta e con la consapevolezza a volte di sbagliare”.

Parole toccanti e importanti anche sul rapporto madri e donne lavoratrici: “Spesso ti sentirai in colpa di essere lontana da loro, anche solo per andare al lavoro. Ti sentirai quasi sbagliata ad avere altri sogni oltre alla famiglia. La nostra società e cultura ci ha insegnato che quando diventi madre, hai una nuova identità già prestabilita identificata, sei solo una mamma. Pensa un secondo a questo: quante volte la società fa sentire in colpa alle donne perché lavorando stanno lontane dai figli? praticamente sempre. E quante volte lo stesso trattamento è riservato agli uomini? mai”.

“Dovrai affrontare tante battaglie dal dover lavorare il doppio di un uomo per farti prendere sul serio”

Infine, la lettera diventa anche occasione di riflessione sull’essere donna: “Dovrai affrontare tante battaglie dal dover lavorare il doppio di un uomo per farti prendere sul serio al non poter vivere liberamente nel tuo corpo perché se lo nascondi sei suora se lo mostri sei Troia – puntualizza Chiara – non avere mai paura delle conseguenze dell’essere chi sei, essere una donna non è un limite.” Con voce tremolante e piena di emozione l’imprenditrice digitale conclude così: “Ti vorrei abbracciare piccola chiara e dirti di non dubitare di quello che sei e alla fine andrà tutto bene e che, sì, sono fiera di te”.

Il monologo di Francesca Fagnani: dialogo con i detenuti del carcere minorile di Nisida

Non tutte le parole sono uguali e non tutte arrivano a noi con facilità. Ci sono parole che, per arrivare sul palco di Sanremo devono abbattere i muri, pareti, grate e cancelli chiusi a tripla mandata. Parole come queste, raccolte dentro al carcere minorile di Nisida– così comincia il racconto della giornalista – parole scritte insieme ai ragazzi che stanno scontando la loro pena lì e altrove, ma senza cercare la nostra pena perché della nostra pena non se ne fanno niente”.

Poi, inizia un vero e proprio dialogo con i ragazzi che si trovano nel carcere minorile: “Cosa vorreste dire, cosa vi piacerebbe chiedere davanti ad una platea così importante?” “Dottorè allora, scrivi, intanto due o tre biliardini da Sanremo e poi devi dire ad Amadeus che si facesse meno lampade” “ma no quello è Carlo Conti” “e poi digli che rubare non è il mestiere mio, l’ho fatto una volta e guarda dove sono finito”. La giornalista portando sul palco dell’Ariston parole, paure e sentimenti dei giovani detenuti, ha avuto modo di parlare delle gravi difficoltà che ci sono all’interno delle carceri italiane come il sovraffollamento e l’azione punitiva che prevale sull’azione rieducativa dei detenuti.

“Perché l’hai fatto? non trovano una risposta”

Hanno picchiato, hanno rapinato, hanno ucciso – continua la giornalista- ma alla domanda perché lo hai fatto però, non trovano la risposta. Risposta che vorrebbero avere, che cercano, che abbozzano ma la risposta non esce perché è inutile cercarla così, lo sanno, bisogna andare al giorno prima, alla settimana prima, al mese prima, alla vita prima. La scuola l’hanno abbandonata ma nessuno li ha mai cercati, non la preside ma neppure gli assistenti sociali che o non ci sono o sono troppo pochi. Quando ho intervistato adulti finiti in carcere per reati gravissimi, ho chiesto loro cosa cambieresti della tua vita e quasi tutti mi hanno dato la stessa risposta: sarei andato a scuola, perché se nasci in quel quartiere, in quel palazzo o da quella famiglia è solo tra i banchi di scuola che puoi intravedere la possibilità di una vita alternativa a quella già scritta per te da altri”.

La giornalista con fermezza e una giusta dose di sensibilità propone poi, una riflessione sul ruolo delle istituzioni: “Lo stato non può esistere nelle aree più fragili del paese solo attraverso la fondamentale attività di repressione delle forze di polizia, lo Stato dovrebbe combattere la dispersione scolastica e la povertà educativa, dovrebbe garantire pari opportunità almeno ai più giovani, è una questione di democrazia, di uguaglianza su cui si fonda la nostra Repubblica. Lo stato dovrebbe essere più attraente dell’illegalità”.

Se un giovane commette dei reati a perdere sarà anche la società

Alla fine del monologo molto toccante, la giornalista ci consiglia di tener conto della triste verità: se un giovane commette dei reati a perdere non sarà solo lui e la sua famiglia bensì l’intera società.  “Ora che sei qui nel carcere minorile è tardi – la giornalista parla di nuovo con i detenuti- Hai fallito tu e abbiamo fallito tutti, ma il tuo destino non è irreversibile se quando esci da qui, trovi un lavoro, rispetti la legge e superi pregiudizi, ma se invece non ce la fai e torni in carcere, quello vero, in quello degli adulti e allora sì lì è davvero finita – poi torna a parlare al pubblico e conclude – se non faremo in modo che chi esce dal carcere sia meglio di come è entrato sarà un fallimento per tutti. E se non ci arriviamo per civiltà, per umanità per il rispetto dell’articolo 27 della Costituzione, arriviamoci per egoismo: conviene a tutti che quel rapinatore, quello spacciatore una volta fuori cambi mestiere”.

Razzismo e i perché: il monologo della pallavolista Paola Egonu

Dopo l’imprenditrice digitale Ferragni e la giornalista Fagnani a splendere sul palco dell’Ariston c’è la pallavolista Paola Egonu che porta un monologo sul razzismo, sui perché e sul bisogno di accettare le sconfitte della vita che non devono in alcun modo farci sentire dei perdenti.

Che emozione! spero di trasmettervi amore ed empatia – inizia così inizia il monologo della pallavolista azzurra- questa sera non sono qui a dare lezioni di vita, perché alla mia età sono più le cose che posso imparare di quelle che posso insegnare”. Con umiltà e sincerità la sportiva si racconta e parlando di sé tocca argomenti come il razzismo, che purtroppo continua a far parte della nostra società, dei perché che la tormentavano da bambina e del bisogno che abbiamo tutti di non sentirci meno bravi nonostante le sconfitte.

Da bambina ero fissata con i perché: perché sono alta? perché mio nonno vive in Nigeria? perché mi chiedono se sono italiana? poi sono diventata grande e i perché sono continuati. Perché mi sento diversa? perché vivo questa cosa come se fosse una colpa? perché ogni volta mi sono punita dando una versione sbagliata di me stessa? col tempo ho capito che questa mia diversità è la mia unicità e che, alla domanda perché io sono io? c’è già la risposta: perché io sono io.”

La pallavolista spiega il razzismo con un esempio: “Prendete dei bicchieri”

Dopo aver ringraziato la mamma e il papà per averla sostenuta nelle sue scelte da sportiva spiega il razzismo con un esempio: “Prendete dei bicchieri di vari colori e metteteci dentro l’acqua, vedrete che la maggior parte delle persone sceglierà il bicchiere trasparente solo perché il suo colore ha un contenuto più limpido eppure […] l’acqua ha sempre lo stesso gusto, fresco e vita, perché siamo tutti uguali oltre le apparenze”.

Poi, Paola si racconta da sportiva spiegando che a volte fa errori ma sta imparando ad accettarli: “Quando in campo commetto errori anche se vinciamo può succedere che io la vivo come una sconfitta. Io gioco in attacco e il mio obiettivo è quello di riuscire ad avere tra le mie mani la palla decisiva da schiacciare, quella che farà punto. A volte ci riesco a volte sbaglio e sto ancora imparando ad accettare l’errore – continua la pallavolista – sono quella che spesso ha sbagliato gli appuntamenti importanti. Nella mia storia di giocatrice sono più le finali che ho perso di quelle che ho vinto, eppure questo non fa di me una perdente. Così come non è perdente chi a scuola prende il voto più basso, chi non riesce a realizzare al primo colpo il suo sogno e poi, visto che stiamo a Sanremo non è perdente nemmeno chi arriva nelle ultime posizioni in classifica. Ve lo ricordate? era il 1983 e Vasco Rossi arrivò penultimo proprio su questo palco. Un altro non perdente che ci ha insegnato che dalle sconfitte più dure possono nascere i successi più grandi: ognuno col suo viaggio ognuno diverso”, conclude così Paola Egonu il suo messaggio con un grande sorriso tra emozione ed applausi da parte del pubblico.

La non maternità di Chiara Francini

La quarta serata del Festival di Sanremo ha visto co-conduttrice l’attrice Chiara Francini che ha portato sul palco dell’Ariston un tema importantissimo e spesso sottovalutato: cosa rappresenta la non maternità per una donna tra incertezze, dubbi, rimorsi e colpe. “Arriva un momento nella vita in cui è chiaro che sei diventato grande, quando hai un figlio”, inizia così il monologo dell’attrice toscana che con il suo contributo vuole far riflettere sulla non maternità che molto spesso non coincide con il non voler diventare genitori.

Ora io un figlio non ce l’ho, però credo che sia una di quelle cose dopo la quale è chiaro che non potrai essere più giovane come quando avevi 16 anni con il liceo, la discoteca e il motorino e c’è un momento in cui tutti intorno a te cominciano a figliare. È una valanga ma inizia sempre da una, che lo sapevi che sarebbe diventata mamma prima di tutte”, racconta l’attrice davanti a milioni di telespettatori spiegando che quando non hai figli ma tutte attorno a te iniziano ad averli si prova sempre una sensazione strana non positiva, ma devi per forza essere felice per gli altri e mettere da parte la tua tristezza, il tuo senso di smarrimento.

Quando qualcuna ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata non sai mai che faccia fare, quando qualcuna ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata c’è come qualcosa che ti esplode dentro, una specie di buco in mezzo agli organi vitali e mentre accade tutto questo tu devi festeggiare – continua l’attrice – poi io a un certo punto mi sono accorta che se non mi sbrigavo io forse un figlio non ce l’avrei mai avuto e che, anche se mi sbrigavo poi non era mica detto, perché poi, anche quando ti decidi poi magari il corpo ti fa il dito medio e allora tu pensi di aver aspettato troppo, di essere una fallita”, una riflessione toccante che riguarda molte e di cui non si parla spesso: il non essere diventate madri che il più delle volte si vive come una colpa.

“La parte più difficile di fare un figlio è immaginarselo”

La parte più difficile di fare un figlio è immaginarselo, immaginarsi come sarà – continua Chiara- se poi fa delle cose che io non condivido? e se poi viene troppo diverso? […] io vorrei sapere come faccio con te bambino. Ancora non sei nato, ancora non so neanche se riesco a farti nascere che già non ci capiamo […] io so e quasi spero che se sarai maschio sarai gay e io ti amerò senza una fine però forse preferirei che non lo fossi perché per te sarà più difficile io vorrei che per te fosse facile”, recita l’attrice con accanto una carrozzina per neonati arrivata sul palco dopo l’inizio del suo monologo.

Da qualche parte penso di essere una donna di merda: perché non so cucinare, perché non mi sono mai sposata e perché non ho avuto figli. Io lo so che razionalmente non è così, però c’è questa voce, esiste, e io alla fine penso che abbia ragione lei, che io sia sbagliata. E io già lo so bambino, tu mi porterei via tutta la creatività, tutta la luce, ci sarai soltanto tu al centro della scena io sarò una semplice comparsa – poi, l’attrice conclude – io forse non so più dove metterti. O forse penso che sei tu che non vuoi venire da me, perché pensi che io mi sia dimenticata di te, che io mi sia dimenticata della vita ma io volevo soltanto essere brava, io volevo soltanto essere preparata io volevo soltanto che tu fossi fiero di me anche se ancora non ci sei, forse, perché ci sei sempre stato”.

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