Intervista a Carlo Biffani, esperto internazionale di sicurezza e intelligence, sull’operazione dei Ros che ha portato all’arresto di Matteo Messina Denaro: “Il suo era un approccio all’antica. La malattia ha influito, ma anche i tanti arresti alla sua squadra”
“Quando un boss si allontana per diverso tempo, perde il contatto con il territorio. Questo lo dice anche la storia, come i casi di Totò Riina e di Bernardo Provenzano. Per questo ritengo che Matteo Messina Denaro non si sia mai allontanato dai suoi luoghi di origine, se non per necessità di breve tempo”.
Il momento della cattura: il video
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Carlo Biffani, esperto internazionale di sicurezza, intelligence e terrorismo, volto noto tv come esperto del settore, nonchè tecnico ascoltato anche dalla Nato, ha le idee chiare sulla cattura di Matteo Messina Denaro. Un’operazione che fa da spartiacque nella lotta tra lo Stato e la Mafia, segnando di fatto la fine del contrasto ai protagonisti della stagione delle stragi degli anni ‘90.
Che tipo di potere Matteo Messina Denaro deteneva negli ultimi anni, dopo trenta di latitanza?
Quello del boss Denaro era un approccio alle cose di mafia alla vecchia maniera, tipico del periodo di Totò Riina e della cupola mafiosa. Questo per quanto riguarda il modo di gestire gli aspetti salienti, mentre invece, per esempio, nel vestirsi o in altri tipi di atteggiamento, era un tipo avanti rispetto ai suoi anni. Ma se c’era un nemico, si andava dritti per eliminarlo: questa la sintesi estrema di quel tipo di cultura, che oggi ha trovato la sua ultima pagina.
Le parole dei carabinieri subito dopo l’arresto: il video
Davvero questo arresto segna la fine di una pagina di storia della mafia o lo Stato dovrà fare i conti con i successori?
Se il sequestro di Aldo Moro ha rappresentato il canto del cigno delle Brigate Rosse, credo che questa operazione rappresenti la fine per i protagonisti della cosiddetta stagione delle stragi. Certo non è che la criminalità organizzata sia stata debellata con questa cattura, ma qui si tratta di aver dato un colpo mortale a quel tipo di mafia, un tipo di mafia contro cui lo Stato ha lottato pagando anche un prezzo molto alto, in quanto a vittime, sia istituzionali che civili.
Messina Denaro è stato catturato nel momento in cui stava affrontando dei cicli di cura. Quanto ha influito la malattia del boss in questa operazione?
Sembrerebbe che lo Sco (il Servizio Centrale Operativo, ndr) già nella primavera scorsa fosse arrivato molto vicino alla sua cattura. E’ chiaro che una latitanza di trent’anni equivale a un periodo, potremmo dire, di trecento anni. Io credo che la malattia abbia avuto un ruolo in tutto questo, ma dobbiamo considerarla come un elemento che ha aiutato l’immenso lavoro di investigazione portato avanti dagli inquirenti. Un lavoro certosino, infinito, di cui conosco alcuni aspetti, e che ha avuto una accelerazione grazie alla malattia del boss. Ma di fondo resta il lavoro straordinario degli inquirenti. E’ chiaro che avere la necessità di dover affrontare sempre più cure espone il latitante: c’è necessità di una carta d’identità, di un codice fiscale, di tutto quello che serve per l’accesso a un certo tipo di cure, tutti documenti di difficile reperimento. La malattia però non è stato l’unico elemento: in questi anni sono stati arrestati moltissimi suoi collaboratori, anche diretti, ed è stata quasi azzerata la compagine che gli ha permesso di restare latitante tutti questi anni. Possiamo dire che il boss fosse braccato, negli ultimi tempi. Tutto questo non ha fatto altro che togliergli la terra sotto i piedi.
Ora il boss come si rapporterà con la giustizia?
Forse è prematuro, ma non penso abbia intenzione di collaborare. Escluderei che voglia trascorrere gli ultimi mesi della sua vita percorrendo questo sentiero, che lo farebbe immediatamente finire nella casella degli ‘infami’ del mondo mafioso. A meno che non voglia vendicarsi di qualcuno, considerando, come detto prima, che era legato a un vecchio approccio mafioso nel risolvere i problemi.
Gli inquirenti, anche in conferenza stampa, hanno giustamente messo in evidenza il grande lavoro svolto per arrivare alla cattura.
Con l’arresto noi abbiamo osservato soltanto la parte finale, quella più impattante, dell’operazione. Ma questo è un lavoro di anni e anni. Durante la conferenza stampa il colonnello Arcidiacono (il carabiniere che ha arrestato il boss, ndr) ha dedicato l’operazione al maresciallo Filippo Salvi, che morì, pensate, cadendo da una rupe dove stava installando delle telecamere per portare avanti delle registrazioni. La dedica è stato un pensiero molto significativo, che rappresenta quanto lavoro oscuro e invisibile ci sia dietro a un’operazione grandiosa come questa. Conosco persone che hanno vissuto dentro un furgoncino, per delle intercettazioni o per pedinamenti, per giorni, facendo i bisogni dentro una bottiglia. E gente che non torna a casa nemmeno per Natale, perché magari in quelle ore la persona attenzionata si sta muovendo. E poi magari non succede niente. E come se oggi noi vedessimo soltanto il finale del film ‘Il Padrino’: non riusciremmo a comprendere la grandiosità di tutto quello che c’è dietro.
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