“Per una nuova destra”, Daniele Capezzone a tutto campo: «Dalla Likecrazia, alla battaglia sulle tasse»

Amedeo Canale
14 Min di lettura

A tu per tu con l’editorialista che, dopo il successo del suo ultimo libro, risponde su attualità e scenari futuri: «Un partito Repubblicano all’americana? Gli elettori sono pronti»

Dopo sette mesi di tour serrato per presentare “Per Una Nuova Destra” (edizioni Piemme) in giro per l’Italia, dribblando i tuoi molteplici impegni giornalistici, televisivi, social e radiofonici, direi che possiamo metterci comodi per un po’ ed approfittare di questa pausa caffè (lungo) per affrontare qualche tema trattato nella tua ultima fatica. Iniziando magari con una domanda preliminare.

Come si coniuga il tuo sforzo di offrire contenuti articolati, appunto, “Per Una Nuova Destra”, con la semplificazione esasperata dei messaggi che si accavallano in un’arena pubblica affamata di emozionalità immediate, nervose, crescenti?

I leader politici non hanno certamente bisogno dei miei consigli: nel senso che sanno perfettamente sbagliare da soli… Però forse farebbero bene a non dimenticare alcuni principi, alcune bussole ideali. E, nella comunicazione, a far discendere da quei principi anche le risposte per il day by day, ricollegando sempre il generale al particolare e viceversa. Altrimenti l’elettore può avere una sensazione di casualità, di improvvisazione…

In questa che tu definisci Likecrazia, in pieno furore politically correct e da cancel culture generato da partiti e movimenti “progressisti” a livello globale, cosa proponi alla Politica in generale ed alla “Nuova Destra” in particolare per essere comprensibili ed efficaci visto che, va ricordato, la prima è sostanzialmente spettatrice dal 2011 delle dinamiche che determinano il Governo del Paese?

Una cosa semplice e chiara: mettersi in battaglia (ma per davvero, e non solo per un giorno) per i contribuenti, per i taxpayers italiani. Meno tasse, meno tasse, meno tasse. Se io sono un autonomo, una partita Iva, un lavoratore del privato, un piccolo imprenditore (o un dipendente di quella impresa), sono il ‘grande dimenticato’ di questa lunga stagione. E magari, al momento del voto, potrei essere io a ‘dimenticarmi’ di andare a votare: mi avete abbandonato? E allora che voto a fare? Il centrodestra dovrebbe essere ossessionato dal rischio di astensione nel proprio campo…

copertina capezzone

Questo “commissariamento” della Politica ha attivato tra i leader dei partiti una competizione “fuori campo” e all’ultimo sondaggio (spesso poi smentiti dalle urne), in un’escalation di messaggi traguardati a piacere e non a convincere. Ma, i cittadini con le loro problematiche quotidiane, che posto occupano tra le priorità?

Temo che per molti cittadini la politica sia ormai poco più di un rumore di fondo. Percepiscono il fatto che i partiti contano sempre meno, e che la surroga tecnocratica è sistematica. Cosa resta ai politici? L’intrattenimento in tv: ma pure quello gli è ormai conteso prima dai virologi e poi dagli “esperti” di geopolitica…

Spesso la Politica dimentica la potenza del diritto di voto; ignora l’astensione come forma di rigetto; sottovaluta (prima, durante e anche dopo) la pericolosità di scelte elettorali anti-sistema come quelle che hanno regalato all’Italia Grillo & Co. Come si può strappare l’elettorato alla convinzione che – ti cito – si sia in presenza di “cartelli” speculari, di “oligopoli gestiti da uguali, più o meno tacitamente associati” e recuperarlo alla partecipazione attiva?

Insisto: mettendo in campo una battaglia (non finta, però) su quanta parte dei soldi dei cittadini possa rimanere a loro, attraverso un poderoso taglio di tasse. Se invece si resta nell’ambito di microproposte e micropolitichette, il senso di inutilità rischia di essere palpabile.

Torniamo alla dicotomia contenuti/linguaggio. I partiti del cd Centrodestra, da almeno quindici anni, hanno speso più tempo a cercare aggettivi per differenziarsi (moderati, sovranisti, populisti, oggi conservatori, etc.), piuttosto che a costruire percorsi politici efficaci, identitari, chiari. Spesso snaturando le proprie storie e disorientando il proprio stesso elettorato. In questo esercizio sterile, non si rischia di svilire e deformare tradizioni politiche di tutto rispetto, cui magari attingere? E di rendere insignificanti concetti e idee?

Sono molto d’accordo, lo accennavo prima: il punto non è nominalistico, ma ha che fare con i principi. Occidente o no, meno stato-meno tasse o no, garantismo o no: occorre richiamare scelte profonde, alte, per le quali abbia senso battersi. Altrimenti che senso ha la piccola lite di giornata, che domani avremo già dimenticato?

Partendo da qui, mettiamo sul tavolo un tema tornato prepotentemente alla ribalta e che, su richiesta, pochi saprebbero definire con precisione: l’OCCIDENTE. In una fase tragica come quella attuale, che ci riporta indietro di qualche decennio, come se ne può parlare senza essere critici e tuttavia senza indulgere in giudizi autolesionisti e senza appello?

La mia opinione è che si debba fare una scelta di campo indefettibilmente chiara, senza equivoci, senza ambiguità. Chi dà la sensazione di stare oggi con Mosca (e magari domani con Pechino) o non ha capito quale sia la posta in gioco, o l’ha capito benissimo, ma rischia di rendersi radioattivo. Fatta la scelta di campo atlantica, però, è doveroso esercitare lo spirito critico e difendere il nostro interesse nazionale, su tutti i piani. 

Montanelli sentenziava: «Quando si farà l’Europa unita, i francesi ci entreranno da francesi, i tedeschi da tedeschi e gli italiani da europei». In un’era di conflitti come quella attuale, dove l’Europa si conferma stentata nello svolgere un ruolo compiuto, ma dove già si parla di modifica dei Trattati per raggiungere una maggiore coesione, credi che un’Italia più consapevole dei propri interessi nazionali, magari con alla guida una “Nuova Destra”, possa rappresentare un discrimine in positivo?

Me lo auguro, ma vedo tanta confusione. Penso al tema della politica di difesa comune, concetto su cui anche la destra italiana, curiosamente, fa aperture.  E il concetto – in apparenza – suona bene. Il punto è: ma l’eventuale difesa unica europea al servizio di quale linea di politica estera verrebbe messa? A presidio di quali interessi dovrebbe operare? Si pensi alla Libia, con le sue implicazioni sia energetiche sia legate all’immigrazione: tutti dovrebbero comprendere che gli interessi di Parigi e Roma, nell’uno e nell’altro caso, sono competitivi e divergenti. 

Secondo te, concetti come Patria, Tradizione, Valori e Interessi nazionali, devono ancora appartenere al vocabolario della “Nuova Destra”, oppure sono semplicemente concetti mal declinati e desueti, destinati ad evaporare di fronte ad un europeismo idealmente auspicabile, forse irreversibile, ma materialmente non scevro da ombre?

Certo che devono vivere quei valori, possibilmente in forma non reducistica, non catacombale, non minoritaria. Il quadro, a mio parere, è quello che disegnavamo poco fa: cornice occidentale, e, dentro quel perimetro, difesa combattiva del nostro interesse nazionale. 

Tu richiami ad un “sano empirismo (in politica) contro ogni dogmatismo”. Tra il Liberalismo e il Libertarismo che spesso evochi, quale prediligi e, soprattutto, nella tua proposta, quale vedi realmente compatibile con il nostro Paese e con il livello di maturità della nostra società?

Da manuale, il liberale classico avrebbe una maggiore flessibilità rispetto al libertario puro: non nega in radice il ruolo dello stato, ma si accontenta del fatto che sia limitato. Certo, più si invecchia in questa Italia, e più si ha voglia di accrescere il proprio tasso di libertarismo, davanti agli Speranza che vogliono decidere ogni aspetto della tua vita, anche in casa tua. 

Qualche giorno fa, sul Corsera, Sabino Cassese stigmatizzava la crisi del Parlamentarismo in Italia. Denunciava «la deriva dei poteri al vertice e la modifica della catena di montaggio delle decisioni collettive, della fabbrica delle leggi, spostata a Palazzo Chigi». Nonché l’esondazione del Potere giudiziario, in un contesto in cui «nessuno dei tre Poteri fa il mestiere che sarebbe chiamato a svolgere». Come si riforma la Politica (e il Paese) senza un riequilibrio costituzionale, senza una legge elettorale definitiva che rimedi all’errore del taglio dei parlamentari, senza regolamenti parlamentari agili e moderni?

Condivido l’esigenza di una legge elettorale ‘decidente’ e di un sistema istituzionale che garantisca un governo in grado di fare scelte forti. Quanto all’arretramento del Parlamento, in larga misura si tratta anche di ferite autoinflitte: da lustri le Camere si fanno scavalcare, bypassare, umiliare…E ne sono responsabili proprio quelli che, per decenni, ci hanno ammorbato con le loro cantilene sulla mitica “centralità del Parlamento”. A proposito: dov’erano mentre si decideva tutto a colpi di Dpcm? 

La gestione della legge delega sul fisco è figlia di questo cortocircuito. Nonché di quelli che Nicola Porro definisce “tassatori etici”. Come si inverte la tendenza, prima che il nostro tessuto produttivo avvizzisca del tutto e le famiglie, con la casa di proprietà come principale fonte di sicurezza (oggi sempre meno sicura con la proposta di Riforma del Catasto), collassino? Pensi ancora all’esigenza di uno “choc fiscale”?

La ritengo, come dicevo, la carta decisiva. Sia per risollevare il paese sia per mobilitare un elettorato di centrodestra che altrimenti rischia di deprimersi. E non basterà certo, all’ultimo momento, dire che ‘la sinistra è cattiva’. Certo che lo è, e gli elettori lo sanno: ma vorrebbero sapere cos’hanno da proporre e cosa sanno fare gli altri… 

Meno tasse, più iniziativa privata, meno dirigismo, più consapevolezza responsabile delle proprie libertà. In un alternarsi di più e di meno, si staglia sul Paese l’ombra pesantissima di uno Stato non amico, tecnocratico, incapace di proporsi come supporto e non come zavorra per le forze vitali della società e per l’iniziativa privata. Assistenzialista nel peggiore dei modi possibili. Se ne esce senza prima archiviare l’antipolitica?

Ovvio che, purtroppo, tutto vada in senso opposto. Tra dopo pandemia e (speriamo presto) dopo guerra, anche nei prossimi mesi, saranno in molti a cantare la canzone della ‘protezione’. Ma stiano attenti: non si ottiene nessuna ripresa solo con piani pubblici, nazionali o europei che siano. Senza tagli di tasse, senza deregolazioni massicce, senza nulla che possa incoraggiare il settore privato, non vedo all’orizzonte nessuna ripresa.

Finiamo con un paio di domande secche sul futuro: è maturo il tempo per un Partito Repubblicano (di stampo americano) in Italia? E ancora, credi che gli attuali player della Destra siano pronti a misurarsi, per esempio, in primarie vere e a fare eventualmente un passo indietro di fronte a un leader inedito che possa incarnare la nuova fase dei contenuti che hai proposto nel tuo consigliatissimo “Per una Nuova Destra”?

Me lo auguro molto, ma temo di no, purtroppo. Ed è un peccato. Gli elettori sarebbero pronti. Non vedo ostilità tra gli elettori dei partiti esistenti di centrodestra, e vedo invece una enorme compatibilità tra loro. Mettiamola così: se proprio non vogliono essere più uniti, cerchino almeno di non farsi disarticolare e separare ulteriormente…

A proposito… qual è il nome su cui scommetteresti?

Non scommetto. Faccio grandi auguri a tutti, in modo costruttivo e sincero. Ma, con altrettanta sincerità, non vedo passi decisi e convincenti nella direzione che auspico. Spero ovviamente di essere smentito: anzi, ne sarei felice. 

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