Con Annie Ernaux il personale è scrittura

Sara Rossi
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Per “il coraggio e l’acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale”. Con queste motivazioni l’Accademia di Svezia ha conferito il Nobel per la letteratura a Annie Ernaux, che negli anni le ha declinate in ottica di genere

“Il personale è politico”, dicevano le femministe della seconda ondata, rivendicando una prospettiva condivisa per cui ogni violenza era, nel piccolo, un attacco alla donna e alla società incapace di educare al rispetto di genere.

Con Annie Ernaux, scrittrice francese 82enne insignita quest’anno del Nobel per la letteratura, il personale abbraccia questo slogan e si fa manifesto, si fa esempio. Si fa scrittura. È lei stessa ad ammetterlo: “La politica è inseparabile dalla scrittura”.

L’autrice si è chiesta se sarebbe morta “senza vedere la rivoluzione delle donne” a cui lei, con la sua capacità di testimoniare il cambiamento del ruolo stesso delle donne in Francia, ha dato e continua a dare un contributo dalla preziosità impagabile.

Credere, vivere, raccontare

Sono gli anni ’70 quando Annie Ernaux inizia a militare tra le file femministe. A oggi è considerata forse la più grande cronista della società francese proprio degli ultimi cinquanta anni, le si riconosce una scrittura che è autobiografismo e memoria, sua ma di moltissime altre donne. Lo si evince anche dai pronomi che utilizza e che passano dall’io al noi, in una sorta di scrittura personale collettiva.

“È il lavoro di un romanziere raccontare la verità”, ha affermato riguardo ai suoi testi, in cui tutto è e dev’essere estremamente reale, dalle parole esatte di un discorso al colore preciso di un indumento. Maggiori protagoniste di queste opere di verità su carta sono le donne e le loro battaglie, di cui l’autrice indaga luci e ombre e si fa portavoce contro l’opprimente (e oppressivo) patriarcato.

L’inchiostro del femminismo

Risale al 1974 il suo primo lavoro, “Gli armadi vuoti”, un testo coraggioso e analitico. Manifestando la propria vergogna per l’ambiente operaio di origine, mette in luce le conseguenze di regressione sociale della “nevrosi di classe”. Tra i temi più esplorati: quello della sessualità e dell’aborto, del rapporto di potere tra dominanti e dominati. Il testo forse più rappresentativo del pensiero di Ernaux riguardo le donne è pero “La donna gelata”, del 1981 (edito in Italia da Gallimard). A parlare è già dal titolo: una denuncia contro l’idea della donna ancora legata alla divisione tradizionale dei ruoli.

Straziante e distaccato, è “L’evento” (2000), storia del suo aborto illegale quando era una studentessa, a Rouen, nel 1963. Dal confronto con medici obiettori e compagni scandalizzati alla ricerca di un’abortista, Annie si muove lungo un contesto di indifferenza e diffidenza che si fa crudo e disperato nelle descrizioni minuziose dei tentativi di abortire. Il suo manifesto è però costituito da “Gli anni” (2008), con protagonista la Francia dal 1941 attraverso la vita di una donna la cui storia che è nient’altro che la sua, sebbene sullo sfondo si muovano le conversazioni tra la madre e i soldati della seconda guerra mondiale, le proteste del maggio ’68 o la rivoluzione della pillola che molti medici all’inizio si rifiutavano di prescrivere  

Grazie per questo Nobel

Annie Ernaux è ufficialmente la diciassettesima donna a ricevere il premio Nobel. Con questo, forse il più prestigioso al mondo, riconoscimento, ecco che la dignità e il valore della voce femminile assumono un’ulteriore, importantissima, legittimazione. Portando sul palco di Svezia quel diritto a essere ascoltate per cui generazioni intere hanno lottato e di cui c’è ancora tanto bisogno di testimoniare e raccontare.

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