Il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni si autodenuncia ai carabinieri dopo aver accompagnato una malata terminale di cancro in Svizzera per procedere col suicidio assistito: «Il carcere? Sono pronto alle conseguenze»
Marco Cappato si consegna ai carabinieri della stazione vicina al Duomo di Milano, autodenunciandosi dopo aver accompagnato Elena, una malata terminale di cancro, nel suo ultimo viaggio in Svizzera, verso il suicidio assistito.
Il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni non si pente di ciò che ha fatto e davanti alla stampa, poco prima di entrare in caserma, afferma: «Racconto l’aiuto fornito a Elena, senza cui non sarebbe stato possibile arrivare in Svizzera. E spiegherò ai Carabinieri che per le prossime persone che ce lo chiederanno, se saremo nelle condizioni di farlo, aiuteremo anche loro. Sarà poi compito della giustizia stabilire se questo è un reato o se c’è la reiterazione del reato. O se c’è discriminazione come noi riteniamo tra malati».
Al termine della denuncia, l’avvocato Filomena Gallo, che ha accompagnato il suoi assistito, spiega che Elena è stata seguita correttamente da un’equipe medica e dalla sua famiglia, che ha condiviso la scelta. A differenza di Dj Fabo, la signora non era ancora stata sottoposta a trattamenti di sostegno vitale, requisito essenziale per il suicidio assistito, per questo ha optato per il trasferimento verso Basilea.
«Ho sottolineato ai carabinieri che, se sarò nelle condizioni di farlo e mi sarà chiesto, continuerò a farlo. Poi valuterà l’autorità giudiziaria se ci sarà la reiterazione di reato. Sono pronto ad affrontare le conseguenze eventuali – dice Cappato – Così come la disobbedienza civile per dj Fabo ha aperto una strada, l’obiettivo di questo iniziativa non è lo scontro ma è la speranza che se non lo hanno fatto le aule parlamentari possano le aule dei tribunali riconoscere un diritto fondamentale come questo».
Cappato: «Nessuna risposta da Parlamento e partiti»
Nella sua autodenuncia, Cappato accusa il governo di non aver mai messo nelle priorità il diritto all’eutanasia. L’iniziativa è stata presentata 9 anni fa e con due legislature non si è mai arrivati a un dialogo o una proposta.
Il rappresentate dell’associazione Luca Coscioni parla di discriminazione costituzionale nei confronti dei malati, fra chi, come Elena, non può accedere al suicidio assistito e chi è dipendente da trattamenti di sostegno vitale e ne ha il diritto «pur con molte difficoltà».
E sulla bocciatura della proposta di referendum dice: «Dalla Corte costituzionale è stato impedito al popolo italiano di decidere, in un modo o nell’altro, sulla legalizzazione dell’eutanasia. Noi abbiamo questa strada oggi. Se a giugno si fosse votato, se la Corte costituzionale non avesse accampato pretesti per impedire a cittadini di votare oggi non saremmo qui».
Il sostegno delle forze politiche
Dalle forze della politica italiana arrivano i messaggi di supporto per Cappato. Sono molti coloro che si augurano che si possa arrivare presto anche in Italia a una proposta di legge che tuteli il suicidio assistito.
Il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, scrive su Facebook: «Sostengo la battaglia di Marco Cappato sul fine vita; e ammiro la sua azione nonviolenta di autodenuncia, ripetuta anche oggi. Lo scandalo dei suoi processi è al contempo un’accusa e un richiamo potente al Parlamento, al legislatore, drammaticamente e colpevolmente latitante. Il nostro impegno non mancherà perché si arrivi ad una legge di libertà, responsabilità e civiltà sul suicidio assistito. Forza Marco!».
Sostegno anche dal senatore del Partito democratico, Andrea Marcucci: «Per ben due legislature, il Parlamento non è stato in grado di affrontare in alcun modo il tema del fine vita. L’autodenuncia di Marco Cappato denuncia questo drammatico impasse. Tra gli altri temi importanti, i partiti dovrebbero sottoscrivere in campagna elettorale l’impegno ad approvare una legge di civiltà, che è incredibilmente urgente».
Anche l’ex sindaco di Torino, Chiara Appendino, ricorda che i cittadini chiedono da tempo un referendum: «Una donna affetta da una malattia irreversibile sceglie di porre fine alla sua vita invece di soffrire. È costretta a farlo da sola, all’estero. Marco Cappato l’accompagna in questa decisione e rischia 12 anni di carcere. Vi sembra sensato tutto ciò? A me no».
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