Una piazza con cento Europe è bella, ma la stessa Europa in cento piazze è molto più utile

A piazza del Popolo, a Roma, gli interventi brevi di sindaci, scrittori, cantanti e attori. Tanta passione e molto romanticismo. Inflazionata la citazione del Manifesto di Ventotene (chissà quanti lo avranno letto?), richiamo suggestivo ma irrealistico per fare subito quel che serve all’Europa per difenderci dall’aggressività di Putin. Ognuno in piazza con la propria idea d’Europa: bella giornata di retorica che non cambia nulla. Elly Schlein sempre nell’angolo in cui si è cacciata con la scelta delirante del voto al Parlamento europeo

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Difesa, sicurezza, pace sono diventati in pochi giorni gli ingredienti di una retorica soffocante sull’Europa. La manifestazione che ha riempito piazza del Popolo, a Roma, ha trasmesso una strana sensazione vedendone le immagini in Tv: è stato come se il vecchio mondo radical-chic avesse scoperto che è giunto il momento di abbandonare la “terrazza” per fare un bagno di “piazza”, mescolarsi in una folla multicolore, sudaticcia, e ascoltarne le sensazioni, coglierne l’esplosione di istintività e di umori per risintonizzarsi con quel popolo di cui aveva perso conoscenza da qualche decennio. Se questo era il proposito di Michele Serra, il giornalista che ha lanciato la mobilitazione per l’Europa, allora le cose sono andate nel verso giusto. Con i leader dei partiti tra la folla, amministratori locali, sindaci, intellettuali e scrittori ad alternarsi sul palco, si può dire che la dimensione spettacolare ha regalato anche spunti di riflessione. Di quale utilità per chi l’Europa la deve costruire attraverso gli strumenti della politica, delle decisioni da prendere, è onestamente difficile da dire.

Per capirci meglio. Le migliaia di persone che nell’autunno del 2014 avevano invaso piazza Maidan, a Kiev, per chiedere al governo una chiara scelta europeista o le folle che da settimane si riversano, a Tblisi, nella piazza principale per protestare contro il governo che ha ritirato la candidatura della Georgia a far parte della Ue, sono circostanze di estrema chiarezza: l’opinione pubblica di due Paesi vuole forzare la mano ai rispettivi governi perché mantengano la rotta sull’adesione all’Unione europea. Per quei Paesi che dell’Unione fanno già parte, vedere le folle scendere in piazza per invocare l’Europa è qualcosa di surreale. Noi siamo già in Europa. Se scendi in piazza sarà, viene da pensare, per dire che cosa vuoi che sia o diventi l’Unione europea.

Invocare un’Europa di pace può essere un buon pretesto per un pomeriggio all’aperto di niente altro, dal momento che nessuno nel governo europeo ha annunciato l’inizio di una guerra contro la Russia o la Corea del Nord. Qualcuno ha capito che cosa la manifestazione di Roma ha chiesto all’Unione europea? Se non all’Unione, ha chiesto qualcosa al governo Meloni o protestato per quel che non ha fatto o che ha detto in Europa? E al principale partito di opposizione, sciolto come la neve mercoledì scorso nel voto in aula a Strasburgo sul piano di riarmo, sono arrivate richieste di delucidazione oltre a quelle di approvazione?

Niente di quanto sarebbe stato utile che accadesse è accaduto. Niente di quanto sarebbe stato positivo venisse detto è stato detto. Gli europarlamentari italiani che hanno schiacciato il pulsante lo hanno fatto guardando alla politica romana, alle effimere strategie e alle meschine convenienze dei leader. In questo gioco a perdere, con l’Europa e il suo drammatico ritardo nell’allestire una politica di sicurezza all’altezza delle sfide rimasta sullo sfondo, ogni gruppo parlamentare ha votato o per mettere in difficoltà il proprio leader, come è accaduto nel Pd, oppure tenere sotto pressione la presidente Meloni, come ha fatto la Lega di Salvini con il voto contrario.

Scarsa convinzione e molta convenienza: queste sono state le due coordinate che hanno guidato il voto degli eurodeputati. Davvero Meloni continua a ritenersi candidata esclusiva al ruolo di “pontiere” fra Europa e Stati Uniti senza valutare di esporsi così al rischio di diventare marginale in Europa e inascoltata da Trump nella sua folle strategia delle tariffe doganali? Davvero Schlein continua, con incrollabile fede unitaria, a credere di ammansire così Giuseppe Conte senza perdersi nelle trame che il leader Cinquestelle ha dimostrato di saper tessere con ineguagliata perfidia? Il Pd ha perso l’anima e ogni residuo del riformismo che ne ha accompagnato la crescita e la centralità fino a dieci anni fa. Un partito con le ruote a terra, ferito nell’immagine e nella credibilità, e molto parzialmente ripagato per questo da una modesta crescita nei sondaggi, si trova in pieno isolamento nella famiglia del socialismo europeo tutta, con la sola eccezione appunto del Pd, favorevole al piano di riarmo di von der Leyen.

Se Schlein pensa di cancellare l’onta provocata al suo partito con quelle 11 astensioni solo perché si è affacciata alla manifestazione di Michele Serra, allora è in pieno “trip” emotivo. Se davvero lo scollamento dalla realtà è arrivato a questo livello, il Pd può giustamente affermare “Houston, abbiamo un problema”, cioè i dirigenti hanno perso la bussola e guidano il partito nella notte a fari spenti. E il bagno di folla a piazza del Popolo diventa quanto di più ingannevole sullo stato di salute del Pd. Il fatto stesso che nei conciliaboli interni al Nazareno o nelle interviste e dichiarazioni di alcuni vecchi e blasonati big si accenni all’eventualità di un congresso è significativo della condizione comatosa in cui versa il partito. E dalla quale non se ne esce con una manifestazione tanto vaga e astratta come quella di Roma. La bestialità di quelle 11 astensioni, solo in parte compensate dai 10 voti a favore, è un vero watershed nella biografia politica di Schlein e ne segna in modo indelebile il destino delle personali fortune politiche. Dopo la cantonata del tweet rilanciato la settimana scorsa, il “Bravo Matteo” riferito a Salvini contrario al riarmo, mercoledì per qualche ora il Pd ha corso il rischio di un bis con “Bravo Orbán” che sarebbe stato fatale. Sabato sera la piazza si era svuotata, la musica finita e gli amici andati via.

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