Sogin, Artizzu: “Siamo a metà strada con lo smantellamento delle centrali nucleari”

Artizzu ha sottolineato che, forse, nel passato "c'è stato troppo ottimismo da parte di chi pensava di smantellare tutto in 15-20 anni", poiché quello del decommissioning delle centrali nucleari è un processo di lungo corso, che soffre di "tutte le difficoltà del codice appalti e dei tempi richiesti dai processi autorizzativi"

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Siamo quasi a metà, precisamente al 45%, con lo smantellamento delle quattro centrali nucleari italiane e degli impianti per il ciclo del combustibile“, ha dichiarato Gian Luca Artizzu, amministratore delegato di Sogin (Società italiana gestione nucleare), in una intervista a Il Sole 24 Ore. Alla luce dei passi in avanti compiuti, quindi, è possibile prevedere che la fine delle operazioni di decommissioning compiute dalla società potrebbero giungere “nella seconda metà del prossimo decennio“.

Un progetto che non prende in considerazione accelerazioni che possano mettere in discussione la sicurezza dei siti e di coloro che vi vivono nelle vicinanze, ma che si propone di lavorare al meglio, con attenzione e capacità, tipiche dell’azione della società. A Sogin, infatti, spetta il compito di smantellare le centrali nucleari di Trino, Caorso, Latina e Garigliano, oltre ad una serie di impianti legati al ciclo del combustibile nucleare, tra cui quello dell’Eurex di Saluggia.

Artizzu, nel corso dell’intervista, ha annunciato quindi un nuovo piano che fissa a 11,38 miliardi di euro l’impegno totale dell’inizio di Sogin, nel 1999, al 2052, necessari per chiudere gli obiettivi che la società si è posta. Il piano precedente, invece, stimava a 8 miliardi di euro la spesa fino al 2042, per la messa in sicurezza, il combustibile, lo smantellamento, ma senza tenere conto di tutta un’altra serie di costi, dell’inflazione e delle materie prime.

Artizzu (Sogin): “Il nucleare è la fonte energetica più sicura”

Artizzu, rispondendo alle critiche di chi sostiene che il processo di smantellamento si sia protratto troppo a lungo, ha sottolineato che, forse, nel passato “c’è stato troppo ottimismo da parte di chi pensava di smantellare tutto in 15-20 anni“, poiché quello della chiusura delle centrali nucleari è un processo di lungo corso, che soffre di “tutte le difficoltà del codice appalti e dei tempi richiesti dai processi autorizzativi“. In questo senso, quindi, non è possibile che si verifichino degli “scatti in avanti“, in quanto a pagarne le conseguenze potrebbe essere proprio la sicurezza.

Nel mondo si programmano 40 anni e ce ne vogliono 60, contando che Sogin è nata nel 2000 noi potremo stare nella parte bassa della forchetta“, ha sottolineato l’amministratore delegato di Sogin, ricordando che per la Società una delle priorità fondamentali è quella della sicurezza. “Ne siamo ossessionati“, ha infatti dichiarato a Il Sole 24Ore, mettendo in luce l’esistenza di una filiera in continuo confronto, con l’obiettivo di produrre miglioramenti.

In questo senso, l’Ad ha voluto evidenziare come il nucleare sia “la fonte energetica più sicura“, tanto che una centrale a carbone produrrebbe più radiazioni di una nucleare. Un ragionamento che varrebbe anche per la collocazione del deposito nazionale di scorie, definito “un sito talmente sicuro che potrà cedere all’ambiente solo 10 microsievert l’anno, l’equivalente radiologico di 100 banane“.

Per quanto riguarda il deposito, Artizzu ha sottolineato come la scelta dell’area in cui farlo sorgere spetta al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, ma che in ogni caso “tutte le 51 aree idonee sono egualmente utilizzabili“. Nel momento in cui, poi, il processo di costruzione potrà finalmente partire, non vi saranno problemi di costituzione di una filiera, in quanto questa già esiste e “va solo raccordata“, sulla “del patrimonio di competenze importante che abbiamo“. Per quanto riguarda i costi del deposito, Artizzu ha sostenuto che l’opera “vale 1,4 miliardi, con 4mila persone impegnate nella costruzione e circa 700 nella gestione“.

Artizzu ha però sottolineato che è necessario lavorare ancora a livello di opinione pubblica e informazione, anche se “nell’ultimo anno e mezzo abbiamo fatto più che negli ultimi 30 anni“. L’amministratore delegato ha poi dichiarato che Sogin “è spesso un capro espiatorio per responsabilità non sue“, tanto da essere attaccata al posto del nucleare, mentre all’estero è considerata come benchmark e punto di riferimento. “Il nostro piano di decommissioning è stato replicato altrove e il nostro centro di formazione, la Radwaste Management School, è un successo che forma professionalità importanti anche all’esterno“, ha concluso l’Ad.

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