Se indaghi non giudichi. Con la separazione delle carriere l’Italia ritrova la civiltà giuridica

La separazione delle carriere nella magistratura non è un attentato alla Costituzione. È invece l’applicazione integrale dell’art. 111 della Costituzione: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. La riforma di Nordio separa i ruoli fra magistrato requirente e magistrato giudicante; “spezza” (il ministro poteva trovare un altro termine per le orecchie delicate di noi italiani) la dipendenza del magistrato dalla corrente di appartenenza; i componenti del CSM vengono sorteggiati (attenzione: meglio due bussolotti. In uno gli uomini, nell’altro le donne)

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La rivoluzione non è un pranzo di gala”, ammoniva Mao Zedong nel pieno della sua sanguinosa repressione dei cinesi. Ignorava, però, che ancora peggio sarebbe stato per le riforme. In un Paese abituato a cullarsi nel rassicurante immobilismo, audacemente messo alla berlina da Checco Zalone, ogni riforma ha dimensioni rivoluzionarie. Come nel caso della separazione delle carriere dei magistrati. Una riforma talmente annunciata da apparire inverosimile che la Camera abbia dato il primo via libera. Sia chiaro, si è soltanto all’inizio di un percorso ancora lungo, poiché si tratta di una riforma costituzionale sottoposta a quattro letture (due della Camera e due del Senato) con la possibilità di un referendum, se approvata senza la maggioranza dei due terzi.

Gli argomenti usati da Pd, M5S, Avs e dal sindacato dei magistrati per contrastare la riforma Nordio sono in realtà armi spuntate. Solo un ingenuo, o chi è in perfetta malafede, può vedere nella separazione delle carriere un attentato alla democrazia. Essa, al contrario, riporta la democrazia all’interno della magistratura e del Csm, che viene sdoppiato perché all’attuale, che conserva le sue funzioni meno una, si affiancherebbe infatti una Commissione disciplinare. Il percorso parlamentare è ancora lungo e accidentato, appare perciò prematura tanto l’esultanza dei sostenitori quanto la bellicosità dei contrari. In teoria ci sarebbe spazio temporale perché, deposte le armi, la politica ritrovi il confronto ispirato al buon senso, una merce sempre più rara di questi tempi.

Alcune considerazioni si impongono sul contesto della riforma Nordio, altre se ne faranno sul testo. La sinistra, tarantolata dal populismo, si è accorta, per esempio, che la separazione delle carriere è stata fatta da una maggioranza per buoni due terzi fatta da incalliti giustizialisti e garantisti, come tutti, se la giustizia chiama in causa qualcuno di loro?

L’opposizione, e il Pd in particolare, come ricorda Claudio Cerasa, ha memoria della mozione congressuale presentata al congresso da Maurizio Martina, ex segretario, per sottolineare l’opportunità della separazione delle carriere? È obiettivo, più volte richiamato come decisivo per la democrazia dall’ex sindaco di Milano, il penalista Giuliano Pisapia, in passato deputato di Rifondazione comunista?

La realtà della riforma Nordio, che sarebbe interesse di ogni italiano, colpevole o innocente, vedere approvata senza ricorso al referendum, è che rappresenta il primo serio tentativo di uscire dal pozzo di veleni di Tangentopoli, e dalla commistione politica-magistratura che tanti guasti ha provocato all’una e all’altra. Si tratta pur sempre di un risanamento dal lato della giurisdizione, mancando quello, cruciale sotto ogni aspetto, della politica.

La sinistra, tuttora rattrappita in difesa e allarmata da minacce che lei solo vede, avrebbe l’occasione con la riforma Nordio di mettersi alle spalle, una volta per sempre, la più infausta delle sue stagioni, pacificare se stessa e ritrovare sintonia con la parte migliore dell’Italia. Non lo farà, e per questo avrà la gratitudine di Giorgia Meloni e della maggioranza che potranno così intestarsi un traguardo di civiltà giuridica.

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