Dopo 16 mesi di guerra ininterrotti, se non per una breve tregua di qualche giorno, il conflitto tra Israele e Hamas potrebbe giungere ad una fine. Al momento, però, i dubbi sui negoziati di Doha sono molteplici e i possibili scenari sono innumerevoli. Non è chiaro, infatti, quali siano le prospettive delle due parti in gioco e quali le influenze che potrebbero avere la meglio sulle due forze. Il negoziato porterà ad una conclusione definitiva delle ostilità o si sta trattando solamente per una tregua dalle tempistiche determinate?
Questa è una delle domande principali che l’opinione pubblica mondiale si è posta e per il momento non sono giunte conferme ufficiali da Doha. Sembrerebbe, secondo quanto dichiarato da alcuni funzionari presenti in Qatar, che la bozza dell’accordo sia quasi definitiva e che sia piuttosto simile al piano in tre fasi presentato lo scorso maggio da Joe Biden. Un piano che però non è mai stato ufficialmente accettato, a causa della volontà di Israele di portare avanti i suoi obiettivi e a quella di Hamas di non lasciarsi distruggere.
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Ora, la situazione sembra cambiata e le due parti aprono alla possibilità di una tregua con liberazione degli ostaggi e di parte della Striscia di Gaza dal controllo delle truppe dello Stato ebraico. Ci si chiede, dunque, cosa sia accaduto in questi mesi che possa aver portato ad un così drastico cambio di posizione. In realtà, la risposta potrebbe trovarsi in parte nel passato e in parte nel futuro, come sottolineato da Il Sole 24Ore, e potrebbe concentrarsi su un unica figura, ovvero quella di Donald Trump.
Tregua tra Israele e Hamas: le promesse di Donald Trump
Nel corso della campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 5 novembre, il tycoon ha promesso più di una volta di voler porre fine ai conflitti nel mondo. L’Ucraina e la Palestina sono i due Paesi su cui l’azione di Trump potrebbe concentrarsi maggiormente e il suo obiettivo, quindi, è quello di cercare di riportare la pace in entrambe le situazioni. Se il conflitto russo-ucraino ancora è in una situazione piuttosto incerta, quello in Medio Oriente ha già creato troppi problemi alla nascente amministrazione del miliardario.
Sono indimenticabili, infatti, gli attacchi rivolti al suo avversario, Joe Biden, accusato di non aver utilizzato abbastanza forza e influenza per porre fine al disastro mediorientale. Trump, quindi, non può macchiarsi degli stessi “errori” del suo predecessore e deve riuscire a porre definitivamente fine ad un conflitto che agli statunitensi è costato troppo. Così, il tycoon ha promesso ripercussioni importanti sul Medio Oriente nel caso in cui la liberazione degli ostaggi non dovesse avvenire prima del suo insediamento.
“Ci saranno un sacco di guai là fuori“, è l’ultimo monito del miliardario lanciato proprio ieri, in contemporanea con le fasi finali del negoziato in Qatar. Benjamin Netanyahu si fa forte di fronte a queste dichiarazioni, pronto ad accontentare il tycoon, anche se per il momento non sono certe le sue prossime mosse. Il punto cruciale della tregua, quindi, riguarda la liberazione degli ostaggi, su cui le possibilità sono numerose. Israele non vuole cedere in alcun modo e senza il ritorno di tutti i suoi concittadini è possibile che la tregua non si realizzi.
Come riporta Il Sole 24Ore, però, il rilascio completo degli ostaggi potrebbe trasformarsi in un vulnus considerevole per Hamas, che sarebbe costretto a portare avanti ogni azione contro Israele senza alcun tipo di scudo difensivo. Nonostante questo ostacolo, comunque, i negoziati sembrano proseguire con ottime possibilità di riuscita. Resta, quindi, da comprendere se l’accordo giungerà prima del 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Donald Trump, o se l’amministrazione del tycoon festeggerà la tregua nel corso del suo mandato.
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