Quattro notizie hanno invaso le pagine dei giornali, nella settimana trascorsa. Fatti lontani nello spazio, nelle sezioni dei quotidiani e nell’interpretazione più comune. A ben leggere, invece, tutti attinenti allo stesso tema: il potere. E i limiti che dovrebbe avere.
Il primo fatto. Il Presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, è stato riconosciuto colpevole di 34 reati. Il suo ruolo ha arrestato i giudici, anziché lui. Nulla gli succederà, ma intanto una giuria popolare e un giudice di New York City hanno messo in scacco l’uomo più potente del mondo.
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Il secondo: un filmato, sfuggito alla censura, mostra una parte di quello che successe la tragica notte del 24 novembre scorso a Corvetto, periferia di Milano, quando il (troppo) giovane Ramy Elgaml morì schiacciato contro un muro. Le immagini svelano che i Carabinieri che lo inseguivano cercarono consapevolmente di arrestare la sua fuga dal posto di blocco, stringendolo contro la parete su cui, poi, il diciannovenne ha trovato la morte. E che si lamentavano di averlo mancato una prima volta, gioendo, invece, per l’obiettivo raggiunto solo qualche minuto dopo. L’inchiesta della magistratura e il processo che ne seguirà chiariranno (spero) come siano andati i fatti e se le forze dell’ordine abbiano intenzionalmente provocato la morte del presunto ladruncolo. Ma non è il punto che interessa questa riflessione.
Il terzo. Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, molto più di Creso, possiede il migliore e più efficiente sistema di comunicazione satellitare. Quasi settemila satelliti che servono agli Stati per raggiungere essenziali scopi civili e militari. Musk li noleggia, gli Stati li pagano fior di miliardi, ma nulla vieta a lui di spegnerli e accenderli a suo piacimento. Lo ha già fatto in Ucraina. Come se non bastasse, sulla sua piattaforma di comunicazione sociale, X, lui fa politica. Atterra, suscita, fa endorsment, critica, elogia. Propala notizie, anche se false, come nel caso del primo ministro inglese, Starmer. Non importa.
Il quarto. La magistratura italiana arresta, su richiesta degli Stati Uniti, un presunto terrorista e lo incarcera in Calabria. Di risposta, una giornalista italiana, Cecilia Sala, viene arrestata (rectius: sequestrata) da un regime tirannico e sanguinario e usata come agnello sacrificale e ostaggio da scambiare, contro l’ingegnere (forse) spia del nemico. La liberazione della giornalista e la quasi immediata scarcerazione del dronista iraniano confermano questa ricostruzione. Doveva essere un accordo segreto, ma il segreto, segretamente si è diffuso e tutti sanno tutto.
Quattro storie, quattro riflettori accesi sulla cronaca e sulla politica. Ma un solo fil rouge a legare queste vicende a porle davanti alla nostra riflessione. Che limiti deve e può avere il potere in un mondo moderno, democratico, civile e retto (auspicabilmente) dall’imperio della legge?
Il giudice newyorkese poteva legittimamente cercare di condizionare il potere esecutivo? Può una giuria di una manciata di persone estratte a sorte mettere in crisi il governo degli Stati Uniti d’America? È conforme agli interessi pubblici? È giusto? È un bene per i cittadini che il comandante in capo dell’esercito veda la sua autorità e la sua autorevolezza minate per una storia di puttane e mazzette volte a comprarne il silenzio?
Dei Carabinieri, nell’esercizio delle loro funzioni e allo scopo incontestato di assicurare alla giustizia dei (presunti) criminali, possono abusare del loro potere sino a provocare la morte di uno che, se fosse stato colpevole, se la sarebbe cavata con un anno e otto mesi di galera (forse)?
Un singolo, pur se eccezionale, imprenditore può condizionare l’informazione e controllare le comunicazioni di Stati democratici e può intervenire con una sproporzione senza fine di mezzi nella campagna elettorale della Germania o nelle vicende politiche della Gran Bretagna?
Un regime democratico può comportarsi come una dittatura, arrestando per conto terzi un cittadino straniero, per poi scambiarlo come le spie alla Porta di Brandeburgo nei film degli anni ’70?
Non dovrebbe poter esistere, in un sistema moderno, civile e democratico, nessun potere assoluto. Nessun potere in grado di violare i diritti inalienabili di ciascuno di noi. Nessun giudice dovrebbe potersi sentire autorizzato a violare il mandato del sovrano, che è -speriamo incontestabilmente – il popolo con il suo voto.
A nessuno, per quanto ricchissimo e potentissimo, dovrebbe poter essere riconosciuta la libertà di condizionare la vita democratica dicendo fesserie senza timore di alcuna conseguenza. Hitler non era un comunista che aveva sbagliato l’analisi economica, ma un criminale che ha funestato il mondo, ha perseguitato e ucciso milioni di persone e ha causato il dolore e la distruzione di mezzo mondo. E questo non è un parere. Così come non si possono possedere strumenti di controllo della libertà e della vita. Non si dovrebbero poter possedere i satelliti, come non si possono vendere l’aria o la libertà.
Nessun poliziotto dovrebbe poter comprimere il diritto di ciascun cittadino alla libertà di movimento, alla presunzione di innocenza, alla vita. Anche se quel cittadino fosse un ladro, uno spacciatore, uno stupratore. La pena per i reati, in un sistema che non sia retto da bestie, la decide la legge e la amministra la magistratura, dopo un processo che garantisca la difesa dell’accusato e in tre gradi di giudizio. E, in ogni caso, la sanzione prevista per il furto o lo spaccio non sono e non possono essere la morte contro un muro.
Nessuno Stato dovrebbe poter arrestare un cittadino senza che sia realmente sospettato di aver commesso un reato e senza assicurare immediatamente il diritto alla difesa, alla dignità, ad un giusto (rapido) processo.
Senza contropoteri, nessun potere è legittimo, nessun potere è giusto, nessun potere è utile.
Senza controllo, senza il dominio della legge e delle forme, siamo davanti alla paura, alla prepotenza, alla violenza.
La giustizia diventa oppressione, l’informazione manipolazione, la sicurezza arroganza, il diritto arbitrio.
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