Netanyahu e il suo nuovo obiettivo: gli Houthi

Dopo Hamas, Hezbollah, e l'arsenale della Siria, Benjamin Netanyahu mette nel mirino un altro Stato del cosiddetto asse della resistenza a guida iraniana, dal quale provengono attacchi contro territorio di Gerusalemme; il premier israeliano ha anche evocato "alcuni progressi" nei negoziati con Hamas sull'accordo per il rilascio degli ostaggi

Redazione
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Israele sta per iniziare un nuovo capito da aggiungere al tomo della guerra. Benjamin Netanyahu, premier israeliano, avrebbe infatti ordinato all’esercito di “distruggere le infrastrutture Houti” in Yemen. Si tratta di un altro Stato appartenente alla resistenza a guida iraniana, che minaccia di continuare a bersagliare il territorio di Gerusalemme.

Parlando alla Knesset, il Presidente ha dichiarato di aver dato precise istruzioni alla forze israeliane di distruggere per l’appunto gli Houthi “perché chiunque cerchi di fare del male allo Stato di Israele verrà colpito con tutta la forza” e continueranno a “schiacciare le forze del male con forza e ingegnosità anche se ci vorrà del tempo“.

Netanyahu farebbe riferimento anche all’attacco Houthi recentemente subito, nella piena notte di sabato scorso, quando i missili intercettori israeliani non sono riusciti ad abbattere un missile che ha colpito un parco di Tel Aviv. In quella notte che ha visto protagonista il secondo attacco in pochi giorni, sono state danneggiate le abitazioni vicine e ferite 23 persone tra cui una bimba di 3 anni.

Come abbiamo agito contro i terroristi iraniani – continua il Premier – agiremo con forza e determinazione” contro gli Houthi. Peraltro, Netanyahu non ha esitato a ricordare che gli israeliani “non sono soli“, facendo così allusione ai caccia americani che hanno bombardato poche ore dopo un impianto di stoccaggio missilistico, insieme ad una struttura di comando e controllo a Sanaa, la capitale yemenita, che si trova sotto il controllo dei ribelli sciiti.

Ma a tale attacco non è mancata risposta. Difatti, tali raid non hanno impedito ai miliziani di lanciare proprio oggi altri due droni contro Israele. A tal proposito, anche Yahya Saree, portavoce militare degli Houthi, ha commentato gli attacchi, dichiarando che continueranno “finché non sarà finita la guerra nella Striscia di Gaza“.

I progressi di Netanyahu nei negoziati con Hamas

Ai parlamentari della Knesset, Netanyahu ha inoltre fatto sapere che con gli Stati Uniti di Donald Trump ha deciso di voler “estendere gli Accordi di Abramo, cambiando così in modo ancor più radicale il volto del Medio Oriente“. Anche perché siccome con il conflitto a Gaza, Israele è vista dai paesi arabi moderati come una potenza regionale e un potenziale alleato, il Premier ha dichiarato di voler cogliere tale opportunità fino in fondo.

Intanto, sembra si stia profilando un’intesa con Hamas che avrebbe portato Netanyahu addirittura ad evocare “alcuni progressi” nei negoziati per il rilascio degli ostaggi. Infatti, stando alle ultime indiscrezioni, l’accordo dovrebbe essere vicino ma con ancora alcune questioni da risolvere tra cui la presenza militare di Israele lungo il confine con l’Egitto, nel corridoio di Filadelfia.

Ma nell’attesa di svolte decisive, nella Striscia di Gaza si continua a morire. Stando a quanto denunciato dalle autorità locali, i raid israeliani hanno infatti causato la morte di 58 persone solo nelle ultime 24 ore. Quindi, volendo fare un bilancio delle vittime negli oltre 14 mesi di offensiva israeliana, seguita all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, si arriverebbe a 45.317 decessi. L’Idf, ossia le forze di difesa israeliane, ha dato notizia di tre soldati nel nord della Striscia deceduti che fanno salire il totale dei militari uccisi a 389 dall’inizio della guerra a Gaza.

Erdogan: “Israele dovrà lasciare tutte le terre che ha occupato

In tutto questo, Recep Tayyp Erdogan, sultano di Ankara, ammonisce che “l’integrità territoriale della Siria deve essere rispettata, per la Turchia questa è una linea rossa“, mentre si intensifica la pressione su Tel Aviv, richiesta del premier libanese Najib Mikati e dell’Unifil, per velocizzare i tempi del ritiro dal Libano. “Dietro la crescente aggressività israeliana – commenta il premier turco – c’è la volontà di oscurare la rivoluzione in Siria e soffocare le speranze del popolo siriano“, motivo per cui, “Israele dovrà lasciare tutte queste terre che ha occupato“.

A completare lo scenario, si aggiunge Damasco con i repentini cambiamenti diplomatici da capogiro. Ahmed al-Sharaa, ossia al Jolani, nome di battaglia, ha incontrato gli emissari della Giordania, del Qatar e dell’Arabia Saudita. Inoltre, nella capitale siriana è giunta una missione da Roma, in quanto, l’Italia si è detta, con voce del ministro degli Esteri, Atonio Tajani, di voler “essere parte attiva della riunificazione della situazione della Siria, della pacificazione e della stabilizzazione“.

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