Il cenone della Vigilia, il pranzo di Natale, la corsa ai regali, la pianificazione degli spostamenti e la gestione dei figli in vacanza sono ufficialmente entrati a far parte dei “carichi mentali” che le donne sono costrette ad assumersi. Non solo perché effettivamente abbiano voglia di occuparsene ma perché sono consapevoli che se non se ne facessero carico loro, non lo farebbe nessuno. Questo è solo uno degli ultimi strascichi del patriarcato, quello che è stato riconosciuto fino al 1975, anno della riforma sul diritto di famiglia, di cui la nostra società non riesce a liberarsi.
Così, uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Marriage & Family cerca di indagare i dati reali che si nascono dietro ad un neologismo che è ancora poco riconosciuto. Perché sì, il carico mentale esiste veramente e può manifestarsi in varie forme nel corso della vita di una donna. Sin da bambina, quando le viene chiesto di apparecchiare la tavola al posto dei fratelli o di aiutare la mamma a preparare la cena, e nell’adolescenza, quando spetta a lei fare in modo che nel corso delle festività i cuginetti non combinino qualche marachella.
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Il ruolo di donna, insomma, viene insegnato sin da piccole. Da adulte, quindi, non sembra strano dover pianificare passo dopo passo la gestione della vita famigliare, dalla pianificazione dei pasti, al controllo della pulizia dei figli, fino all’organizzazione delle attività famigliari. Anche se ormai, a lavorare sono anche loro. Così, con l’arrivo delle feste, un gruppo di ricercatori delle Università di Bath e di Melbourne, in Australia, hanno deciso di sottoporre 3mila genitori di bimbi e adolescenti ad un sondaggio sul carico mentale, per comprendere se realmente le donne sono le principali vittime di questo fenomeno.
I risultati del sondaggio sul carico mentale
Il rapporto ha quindi portato alla luce dati che sembrerebbero confermare la tendenza per cui i ruoli femminili nelle famiglie sono maggiormente appesantiti dai lavori e dalle organizzazioni domestiche. Nello specifico, infatti, le mamme si assumono il compito di gestire il 71% delle faccende domestiche che richiedono uno sforzo mentale, mentre gli uomini solo il 45%. Ovviamente, le faccende cambiano a seconda del sesso di chi se ne occupa.
Le donne sono più propense ad occuparsi di faccende quotidiane, come la pulizia e la cura dei bambini (79)%, mentre gli uomini si concentrano su compiti sporadici riguardanti le finanze o la manutenzione dell’abitazione (35%). Un ‘altra grande differenza riguarda il fatto che anche in questo secondo settore, ovvero quello della manutenzione e delle finanze, le donne partecipano in modo considerevole (53%), mentre, per quanto riguarda le faccende domestiche, gli uomini tendono a occuparsene in percentuale minore (37%).
Inoltre, il sondaggio ha rivelato come donne e uomini abbiano percezioni ben diverse del loro contributo in famiglia. Le figure maschili, infatti, ritengono di partecipare attivamente e in modo equo, se non superiore a quello femminile, nelle faccende domestiche. Le donne, invece, rimangono più realistiche, ma sembrano aver ormai interiorizzato che la normalità preveda un loro maggiore sforzo nell’organizzazione famigliare.
Che cos’è il carico mentale?
Ma che cos’è specificamente il carico mentale? Con questo termine si indicano le faccende domestiche che implicano uno sforzo mentale per il loro svolgimento. Immaginiamo, anche se non dovrebbe essere difficile farlo, di tornare a casa dopo otto ore di lavoro e di trovarsi di fronte alla sempre difficile domanda: “Cosa preparo per cena?“. E di ripetere questo procedimento tutti i giorni della propria vita sia per il pranzo che per la cena, oltre ad occuparsi di tutte le altre faccende domestiche e delle emergenze che spesso si verificano in ambito famigliare.
Bene, il dover avere sempre tutto sotto controllo e dover rispondere sempre ai bisogni dell’intero nucleo famigliare carica le donne di un peso ulteriore e rischia di affossarle rispetto alla loro controparte maschile. “Il carico mentale è un lavoro che può portare a stress, burnout genitoriale e può persino influire in modo negativo sulla carriera delle donne“, ha infatti spiegato la dottoressa Ana Catalano Weeks, politologa del Dipartimento di Politica, Lingue e Studi Internazionali dell’Università di Bath, cercando di porre l’accento sulla gravità che questo tema, troppo spesso ignorato, porta con sé.
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