Tutti vogliono l’anima del Diavolo… di un Milan che non esiste più

La festa per i 125 anni del club è rovinata e lascia spazio ad una polveriera che squarcia la crisi rossonera: oggi tutti vogliono l'anima del Diavolo, quella di un Milan che non esiste più

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Un San Siro tinto a festa ed adornatosi come nelle migliori occasioni si prepara alla celebrazione dei 125 anni del Milan, perfetta cornice di una serata di festa, presto divenuto teatro degli incubi rossoneri. La partita, pur deludente, finisce quasi in secondo piano: nella notte più attesa alla Scala del Calcio si scoperchia il vaso di Pandora. La Curva Sud apre la contestazione fuori dallo stadio, il party all’americana delude, Fonseca si rende protagonista di scelte forti che non pagano ed il clima di festa si tramuta nell’aria tesa di una crisi: così il palco delle celebrazioni si presta a polveriera scaraventata all’inferno, l’anima del Diavolo al centro della contesa.

In casa Milan ‘È finita la pace, quella apparente delle ultime settimane, graziata e garantita dalle vittorie nel derby ed al Bernabeu. In casa Milan è scoppiata la più pura delle crisi, celata da tempo, non più posponibile. La maglia celebrativa e qualche gioco di luci hanno provato ad irrobustire un tappeto che, al primo timido soffio, si è levato facendo emergere l’oceano di polvere al di sotto. La spaccatura tra tifo e società appare come un cratere che scinde Milano in due parti: glorie, tifo ed opinione su una sponda; l’American Horror Story dall’altra, abbandonata a sé stessa, a godere dell’esilio fisico ed ideologico reso tratto distintivo della propria dubbia gestione.

La crisi che dilania i colori rossoneri in queste ore ha radici più profonde della traversa contro il Genoa, del rendimento altalenante di Leao e dell’esclusione di Theo Hernandez, ancor più della classifica o di scelte e sfoghi di Fonseca. L’insediarsi di RedBird ai piani alti di casa Milan non rompe con il recentissimo passato a stelle e strisce, a firma Elliott, ne rafforza, anzi, ancor più gli ideali che oggi adirano la piazza. Il rinsaldarsi di dogmi non propri del nostro calcio, su tutti l’assenteismo dirigenziale dinanzi a telecamere e microfoni, è fattore trascurabile agli occhi del tifo se riempiti da vittorie e trofei. Conditio sine qua non rispettata dal fondo della famiglia Singer, tradita aspramente dal gruppo con a capo Gerard Cardinale.

Di qui il peccato originale della nuova gestione, la malgiustificata cacciata di Maldini e Massara. Il depauperare lavoro e patrimonio tecnico, ed in particolare umano, del gruppo Scudetto, poi, ha esteso la trama dell’orrore. Una rottura con il passato mediante l’abbattimento delle proprie colonne portanti, eseguito male e sommessamente giustificato peggio, emerso maggiormente come desiderio ardente in pancia al nuovo corso rispetto ad una evidente necessità. L’anima del Diavolo, storica ed antica, inscritta nel dna del club, soppiantata da una filosofia a stelle e strisce che stenta ad attecchire. L’insediamento di figure inesperte in capo all’area sportiva, se non inadeguate, quantomeno in un simile momento storico, ha posto la parola fine sulle aspirazioni da campo del Milan attuale.

Milan, Curva Sud
Milan, Curva Sud

Oggi il tifo si scaglia violentemente contro società e giocatori, inneggia alla cessione da parte di Cardinale o al tirare fuori gli attributi dei simboli della squadra, il tutto cingendo d’assedio la festa, spostatasi da San Siro al centro di Milano nella serata di lunedì. Oggi la Curva reclama l’anima del Diavolo, trapiantata e dispersa oltreoceano, nei passaggi chiave della propria contestazione. La mancanza di ambizione, la mediocrità societaria riflesse in dignità e storia tradite, un tempo appartenute ad un Milan che non esiste più.

L’attualità della stagione racconta di scarsa prolificità, di equilibrio mancante, di impegno che latita, di scelte tecniche ampiamente discusse e lacune comunicative. Gli errori in zona gol non sono di Morata ed Abraham, sono dei mancati affondi su Gyokeres e Sesko in estate; l’equilibrio mancante è figlio di cessioni scriteriate, da Kalulu a Tonali, e di acquisti non concordati con le necessità del tecnico, come ammesso da Ibrahimovic a fine mercato; gli episodi di rigori e cooling break non sono solo errori di Theo, Leao e Tomori, evidenziano l’assenza di leader tra dirigenza e spogliatoio, basti guardare alle perdite dello stesso Zlatan, Giroud o Kjaer. Le scelte di Fonseca, ancora, tornano a battere su richieste estive non soddisfatte, sintomo di scarsa coesione al di sopra del gruppo squadra: così, dopo mesi di lavoro in una direzione, si torna a calcare le orme di Pioli, con Musah erede tattico di Saelemaekers e Messias.

Le lacune comunicative, in ultima istanza, sono quelle emerse dall’assenza di Maldini. C’era un tempo nel quale l’ex dt reggeva saldamente il timone nella tempesta, oggi Fonseca è predicatore solitario gettato in pasto alla critica. Un uomo abbandonato ai propri ideali, onorevole e coraggioso nel morire sportivamente con essi, condannato dalla filosofia di chi l’ha scelto ad un epilogo noto che, presto o tardi, il tempo ci consegnerà.

Fiumi di parole e fatti confermati e sintetizzati dalle reazioni dei giocatori al di sotto del post celebrativo di Paolo Maldini. L’anima del Diavolo al centro della contesa tra le parti, incarnata e rivendicata al meglio dallo stesso ex Capitano: “La storia è memoria“. Magra consolazione di questi tempi, certezza inscalfibile dal passato attraverso la quale ripartire per garantire al club il futuro che merita, oggi precluso, donando ad un Milan che non esiste la vera anima del Diavolo.

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